A volte la storia si diverte a mettere una accanto all’altra delle date emblematiche: il 7 ottobre di quest’anno è stato il primo anniversario del pogrom con il quale Hamas ha ucciso 1200 ebrei e sequestrato altri 250 dando origine all’attuale conflitto mediorientale. Ieri, 9 ottobre 2024, è stato il 42esimo anniversario dell’attentato alla Sinagoga di Roma: altri 40 feriti. E un morto: Stefano Taché, un bambino di 2 anni. Oggi, 10 ottobre, il presidente della comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, in occasione di una visita del Comandante Generale dei Carabinieri Teo Luzi al Ghetto, ha avuto modo di ricordarlo come “un bambino italiano vittima del terrorismo mentre ancora oggi i nostri piccoli, che sono prima italiani e poi ebrei, sono a scuola protetti dalle forze dell’ordine”. Come dire: purtroppo, anche dopo tanto tempo, la violenza dell’antisemitismo rappresenta un pericolo. Tag24.it ha avuto modo di parlarne con Gadiel Gaj Taché, il fratello maggiore di Stefano: nel 1982 aveva 4 anni e, nel giorno dell’attentato alla Sinagoga, rimase anche lui gravemente ferito.

Quarantadue anni fa l’attentato alla Sinagoga di Roma, Gadiel Taché: “Mio fratello Stefano fu ucciso ma l’antisemitismo miete ancora vittime”

Gadiel Gaj Taché oggi ha 46 anni ed è un broker finanziario. Ma a 42 anni dall’attentato alla Sinagoga in cui perse suo fratello Stefano si sente ancora “un miracolo vivente”.

“Le schegge di una bomba lanciata dai terroristi mi colpirono al piede sinistro, a una gamba e mi recisero un’arteria femorale”.

D Risultò essere uno dei feriti più gravi.

R “Fui soccorso in condizioni disperate prima al Fatebenefratelli. Poi mi portarono in eliambulanza al San Camillo dove mi strapparono letteralmente dalla morte”.

D Aveva quattro anni: cosa ricorda di quei momenti?

R “Mi è rimasto impresso l’elicottero, l’odore nauseante. E il mio vomito”.

D Una violenza inaudita.

R “Buona parte della mia infanzia l’ho rimossa. Anche di mio fratello ho pochi ricordi. Solo quelli alimentati nel tempo da mamma e papà”.

D Anche loro rimasero feriti.

R “Sì, quello del 9 ottobre 1982 fu un attentato gravissimo. Emanuele Pacifici, il padre di Riccardo che poi sarebbe diventato presidente della comunità ebraica di Roma, fu dichiarato morto e portato in camera mortuaria assieme a mio fratello. Lo salvò il rabbino capo quando, avvicinandosi per benedirlo, si accorse di un suo rantolo: era ancora vivo”.

D Quarantadue anni dopo quel terribile giorno, cosa prova?

R “Dolore e rabbia”.

D Perché?

R “Non abbiamo mai avuto giustizia: nessuno ha mai fatto nemmeno un quarto d’ora di carcere per quell’attentato. E poi perché l’antisemitismo oggi è ancora peggiore di quello di allora”.

D Un veleno che non si estirpa.

R “Al contrario: dilaga. Oggi l’odio verso gli ebrei si nota dappertutto: sui media, nelle piazze, sui social…”

D Nell’ultimo anno la situazione è peggiorata?

R “Senza dubbio. Io ho sempre voluto credere che il 9 ottobre 1982 avesse fatto da spartiacque, invece…”.

D Anche prima di quel giorno gli ebrei erano nel mirino per la guerra in Libano. A Roma sintomatico fu uno striscione ‘Bruceremo i covi sionisti’.

R “Anche allora c’era un brutto clima contro di noi. Poi, però, ho creduto che l’attentato del 9 ottobre avesse reso tutti più consapevoli, equilibrati. L’ho creduto fino al 7 ottobre dello scorso anno”.

D Il giorno del pogrom di Hamas: ebrei uccisi, torturati, violentati, rapiti per il solo fatto di essere ebrei.

R “Quel giorno ricevemmo le condoglianze di quasi tutti. Ma ben presto le cose sono cambiate. Da quando Israele ha iniziato a difendersi militarmente, è scattato qualcos’altro”.

D Cosa?

R “La discriminazione e la confusione identitaria tra il popolo ebraico e l’attuale governo dello stato d’Israele: che colpa abbiamo di una guerra che non abbiamo dichiarato noi? Per me, ebreo o palestinese, se muore un bambino è comunque una tragedia”.

D A lei personalmente, in quest’ultimo anno, sono accaduti episodi di discriminazione?

R “Sì. Qualcuno che ho creduto amico, con cui andavo a mangiare la pizza assieme, dopo il 7 ottobre, si è allontanato. Mi dispiace per loro”.

D Una delusione.

R “Ripeto: dopo l’attentato di Roma, ho creduto che lo Stato e la società civile italiana ci fossero vicini. In qualche caso, ho dovuto ricredermi”.

D In Sinagoga, in occasione del primo anniversario del 7 ottobre, non c’erano tutti i leader politici.

R “Io non posso essere nè di destra nè di sinistra. C’è un unico filo rosso che li accomuna: l’antisemitismo: gli ebrei sono stati perseguitati sia dal nazismo che dal comunismo. Detto questo, senz’altro è stata importante la presenza del governo italiano: sta dimostrando di capire il nostro bisogno di sicurezza”.

D Ancora sabato scorso, la manifestazione pro Palestina è degenerata con cori inneggianti Hamas e scontri.

R “E’ una cosa terrificante. Chi grida quei cori accomuna tutti gli ebrei all’attuale governo di Israele e finisce per fare un’equazione che fa rabbrividire: Israele uguale nazismo, buona a lavarsi la coscienza dai crimini del vero nazismo; e Hamas uguale lotta di resistenza”.

D Gli anni non hanno fatto cambiare niente?

R “Da questo punto di vista no. Ma il 9 ottobre 1982, nonostante le richieste della comunità, non avevamo nemmeno una camionetta dei carabinieri a proteggerci. Oggi non è così: tutte le forze dell’ordine ci sono molto vicine, lo Stato ci è molto più vicino”.

D Quarantadue anni fa non fu così?

R “No. Le indagini, all’indomani dell’attentato che uccise mio fratello, furono condotte in modo molto grossolano. L’unico responsabile fu scoperto in Grecia, ma in Italia non arrivò mai per essere processato”.

D Lei si è messo a setacciare anche i documenti desegretati negli ultimi anni sull’attentato del 9 ottobre 1982.

R “Ho bisogno di cercare la verità, per questo due anni fa scrissi anche un libro: ‘Il silenzio che urla’“.

D Quando potrà finire la guerra?

R “Citando Golda Meir, quando i palestinesi ameranno più i loro figli di quanto odino noi”.

La visita del Comandante Generale dei Carabinieri al Ghetto

A confermare la testimonianza di Gadi Taché, oggi, 10 ottobre 2024, il Comandante Generale dei Carabinieri Teo Luzi si è recato in visita al Ghetto, dove ha tenuto un breve discorso agli studenti. Tra qualche settimana, cederà il testimone al suo successore. Ma ci teneva a dare un ultimo saluto anche alla comunità ebraica romana in rappresentanza di tutte quelle sul territorio italiano. L’ha fatto ricordando l’articolo 3 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”) e la scelta del Governo Meloni di nominare il Generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto commissario per combattere l’antisemitismo.

Anche il presidente della comunità ebraica romana Victor Fadlun ha tenuto a ringraziare le istituzioni. Lanciando, in ogni caso, una domanda che ad oggi può avere solo una risposta drammatica: “Perché dobbiamo vivere sotto scorta?”