Nuova udienza oggi, 10 ottobre 2024, per il processo sulla morte di Giulio Regeni. Un cammino in cerca di una verità taciuta e occultata da ormai otto anni, che chiama in causa le responsabilità del governo egiziano e il ruolo svolto dalla politica italiana per reclamare giustizia. Ecco, quindi, che in aula è molto atteso l’intervento di Paolo Gentiloni, all’epoca dei fatti ministro degli Esteri del governo presieduto da Matteo Renzi.

Oltre all’ex presidente del Consiglio è previsto il collegamento video con Maha Abdelrahman che di Regeni era la tutor presso l’Università di Cambridge.

Si tratta, dunque, di due testimonianze particolarmente importanti dalle quali l’avvocata Alessandra Ballerini e la famiglia Regeni si aspettano elementi preziosi nella ricostruzione dell’omicidio del giovane ricercatore.

Processo Regeni oggi, 10 ottobre 2024, l’avvocato Ballerini: “Speriamo di strappare altri brandelli di verità”

Un altro passaggio fondamentale, dunque, per cercare di diradare la nebbia di depistaggi e false verità che ha avvolto la morte del 28enne triestino da quel tragico 3 febbraio 2016, quando il suo cadavere venne ritrovato nei pressi di un carcere dove era stato detenuto dai servizi segreti egiziani dal 25 gennaio dello stesso anno.

Un vero e proprio muro elevato dalle autorità del Cairo davanti alle indagini confermato, nel corso dell’ultima udienza del 24 settembre 2024, dalla direttrice del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) Elisabetta Belloni che aveva sottolineato come l’Egitto continuasse a non collaborare con le autorità italiane.

L’avvocata Ballerini, arrivata alla sede dell’udienza a piazzale Clodio a Roma, affiancata dai genitori del ricercatore e dai membri dell’organizzazione ‘Verità per Giulio Regeni’, oltre che da Gianni Cuperlo del Partito democratico, ha rimarcato ai cronisti, tra cui l’inviato di TAG24 Thomas Cardinali, la fondamentale importanza delle testimonianze di oggi e le sue aspettative per le parole dei due testimoni-chiave:

“Ci aspettiamo, come sempre, di strappare brandelli di verità. Speriamo che venga ricostruita sempre meglio la figura di Giulio che, come ha detto l’onorevole Minniti nell’udienza del 19 settembre, stava facendo un chiaro, legittimo, sacrosanto lavoro di ricerca“.

Udienza parte in ritardo a causa del collegamento video con Maha Abdelrahman

Non inizia nel migliore dei modi l’udienza di oggi. La prima testimonianza, da parte di Maha Abdelrahman, doveva avere luogo alle ore 10:30 attraverso un collegamento video che, però, ha creato più problemi del previsto ai tecnici del tribunale di Roma. Per un’ora e mezza, infatti, non è stato possibile avviare il collegamento da remoto, bloccando i lavori di quello che può essere definito uno dei processi più importanti nella storia d’Italia recente.

Ancora più paradossale è il fatto che la soluzione a sia arrivata grazie ai tecnici della Rai che stavano seguendo il processo per il programma ‘Un giorno in pretura’ i quali si sono recati ai magazzini della vicina via Teulada, dove ha sede il centro di produzione Rai, per cercare un connettore necessario per effettuare il collegamento che è stato, così, avviato.

Processo Regeni, parla la tutor Maha Abdelrahman: “Non sapevo che Giulio avesse contattato la fondazione Antipode”

Alla fine, comunque, il collegamento riesce a partire e la docente di Cambridge può rilasciare la sua testimonianza, ritenuta centrale per meglio comprendere le circostanze che hanno preceduto e, in qualche modo, determinato la morte del giovane ricercatore.

La professoressa dell’Università di Cambridge Maha Abdelrahman in collegamento video al processo Regeni.

I contatti di Regeni con i venditori ambulanti del Cairo, oggetto della sua ricerca sul campo in Egitto, erano stati messi sotto particolare osservazione da parte delle forze dell’ordine egiziane dopo che erano circolati i sospetti che l’indagine di Regeni potesse ricevere la collaborazione e i finanziamenti della fondazione inglese Antipode, sospettata di voler incitare a una rivolta in Egitto.

Proprio questo presunto legame potrebbe, dunque, aver svolto un ruolo centrale nella morte del ricercatore e alla professoressa Abdelrahman oggi è stato chiesto se sia stata effettivamente lei a mettere in contatto Regeni con la fondazione:

“Mi è stato già chiesto se fossi stata io a fare il nome di questa fondazione a Giulio. Risposi che non ne ero sicura ma fornisco spesso informazioni ai miei studenti sui finanziamenti. Io non sapevo che Giulio avesse contattato questa fondazione“.

La docente di Cambridge conferma di aver incontrato il ragazzo al Cairo e di aver avuto uno scambio di email con lui “da settembre 2015 a gennaio 2016“, nelle quali Regeni si diceva “soddisfatto del suo lavoro. Ricorda, poi, la sua preoccupazione dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa seguita dallo shock per l’annuncio della sua morte (per la quale si definisce “devastata“) da parte dell’ambasciata italiana:

“Non sono più tornata al Cairo dopo la morte di Giulio, ero completamente traumatizzata ed ero anche molto spaventata”.

Infine, nega che l’Egitto abbia fatto pressioni su di lei o sulla sua famiglia affinché non testimoniasse nel processo, nonostante le accuse ricevute da parte degli stessi media egiziani che la etichettavano come una “spia dei Fratelli Musulmani“.

Processo Regeni, Gentiloni conferma l’ostruzionismo dell’Egitto: “Era glaciale nei rapporti con le autorità egiziane”

Dopo una breve pausa, dovuta al ritardo accumulato, l’udienza riprende proprio con la testimonianza di Paolo Gentiloni. Nelle dichiarazioni dell’allora ministro degli Esteri a procuratore e parti civili, emerge con chiarezza la reticenza al limite dell’ostruzionismo delle autorità egiziane di fronte alle ripetute richieste di chiarimento del governo italiano sulla sorte del ricercatore, sia quando era ancora solo sparito, sia dopo che ne fu ritrovato il corpo.

Gentiloni ricorda, anzitutto, come l’allarme per la sorte di Regeni sia scattato immediatamente dopo la sparizione da parte dall’ambasciatore italiano al Cairo Massari, dovuto proprio all’insolita ritrosia delle autorità locali a “interloquire con i soggetti istituzionali” sul caso. E questo nonostante quelli che Gentiloni descrive come “rapporti forti e solidi” tra i due Paesi all’epoca.

Da qui la decisione di sollevare il tema dal punto di vista politico, proprio per rompere il muro di scarsa collaborazione sollevato dal Cairo e reso evidente dalla telefonata che Gentiloni ebbe con il suo omologo egiziano. Sebbene in essa, spiega ancora l’ex presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri egiziano “diede rassicurazioni sul farsi carico nell’informarsi e informare l’ambasciatore“, Gentiloni dice di aver ravvisato scarsa conoscenza dei fatti in questione nel suo interlocutore.

“Era facile ipotizzare che ci fosse la volontà di essere evasivi perché, considerando la cornice dei rapporti, il fatto di non ricevere l’ambasciatore poteva rivelare la volontà di evadere da una situazione che non si voleva affrontare. L’unica spiegazione è che il livello di preoccupazione cresceva e dovevamo portare il problema ad un livello politico”.

Una situazione che non mutò nemmeno quando venne diffusa la notizia della morte di Regeni, appresa da Gentiloni il 4 febbraio, mentre si trovava a Londra per la conferenza dei donatori per la Siria. Proprio in quell’occasione, ricorda di aver avvicinato il ministro degli Esteri egiziano per sottolineare come l’Italia si aspettasse “collaborazione assoluta” dal Cairo. Ci furono delle dichiarazioni di collaborazione mai concretizzatasi, dice l’ex ministro degli Esteri, ammettendo che, da allora, i rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto non sono più stati gli stessi:

I rapporti con l’Egitto sono entrati quasi immediatamente in un’era glaciale. Le autorità egiziane ci avevano offerto a parole la loro collaborazione ma nel giro di poche settimane emersero le riluttanze e i tentativi di depistaggio. Quella vicenda ha trasformato un rapporto di grande collaborazione in un rapporto congelato. Un’incrinatura come quella verificatasi con l’Egitto lascia una traccia che rimarrà“.

In conclusione del suo intervento, Gentiloni difende l’operato del governo Renzi sulla vicenda, sostenendo che esso “si è mobilitato con tutte le sue forze, anche con colloqui diretti con il presidente egiziano al-Sisi e con “Paesi che potevano avere un’influenza come gli Stati Uniti” o il Regno Unito. Purtroppo senza riuscire a scalfire il ‘muro di gomma’ eretto dall’Egitto e che resta in piedi ancora oggi.