Uno degli ultimi regimi comunisti del mondo sta sfidando gli Stati Uniti. La sfida è la minaccia nucleare che il governo di Pyongyang ha lanciato ufficialmente agli Stati Uniti, la prima potenza a utilizzare nel lontano 1945 la bomba atomica. Gli Stati Uniti sono dotati di un arsenale militare in grado di difenderli da ogni possibile attacco esterno, anche di quel genere. Sembra quindi la sfida tra Davide e Golia.

La sfida non è lanciata solo agli Stati Uniti ma anche alla Corea del Sud ed al Giappone loro ingombranti vicini. Il leader Kim Jong-un ha lanciato un appello ai suoi cittadini richiamandoli dalla Corea del Sud che poteva essere oggetto di un conflitto immediato.

I missili nord coreani possono raggiungere il Giappone e la Corea del Sud ma non gli Stati Uniti, che invece hanno basi sull’Isola di Guam che trovandosi a circa 3540 km dalle coste  gli conferiscono un vantaggio geostrategico. I coreani hanno già trasferito sulle coste orientali del paese missili “Musudan” e componenti per un complesso missilistico, e di converso gli Stati Uniti hanno terminato i preparativi per dislocare sistemi antimissilistici sul’isola di Guam. Se guardiamo una carta dell’area, i missili coreani possono colpire per un raggio di 6000 km arrivando a lambire le coste dell’Alaska e raggiungendo senza problemi la Cina e la Russia.

Il Giappone si è già organizzato e il Ministro Itsunori Onodera ha predisposto batterie di missili Patriot nel centro di Tokio e in altri punti strategici della metropoli pronti a neutralizzare i missili eventualmente in arrivo.

Gli Stati Uniti si sono detti pronti a intercettare e annullare eventuali minacce provenienti dall’altra sponda del Pacifico perché, come sottolineato dal Comandante delle forze armate statunitensi in Asia e nel Pacifico Sam Locklear, in breve la minaccia sarà localizzata e neutralizzata.

Il Segretario dell’ONU Ban Ki Moon è intervenuto sulla vicenda per stigmatizzare la retorica provocatoria di Pyongyang mettendo in guardia il governo nordcoreano dal continuare questa azione poiché un incidente anche piccolo potrebbe bastare a scatenare una reazione incontrollabile. Non è da trascurare il fatto che Ban Ki Moon pur parlando come Segretario delle Nazioni Unite nasconde un’anima sudcoreana.

Non stupisce il solito atteggiamento attendista della Unione Europea che certamente condanna la provocazione e contestualmente invita la Cina a svolgere un ruolo di utile paciere, data la vicinanza geografica.

Ci si chiede quale sia la reale motivazione che ha spinto il giovane leader nordcoreano a questa prova non richiesta di forza. Nessuno, infatti, ha sfidato la Corea del Nord, anzi diversi sono stati i tentativi americani per giungere a posizioni distensive. A questo proposito, vanno ricordati gli accordi tra Stati Uniti e Corea del Nord del 1994 e del 2005.  Dal 1989 al 2010 i Presidenti americani e i loro Consiglieri alla Sicurezza e i Segretari di Stato hanno continuato a fornire al regime garanzie di non ostilità scritte e verbali. Questo atteggiamento benevolo non è stato preso in considerazione dai nordcoreani, e tutti gli accordi non hanno portato a nulla anche perché Pyongyang godeva della protezione della Cina, protezione che è in diminuzione.

La Cina è il primo fornitore commerciale e di energia della Corea del Nord. Questa non ha mai avuto comunque un atteggiamento molto collaborativo con la Cina, il rapporto nel tempo si è indebolito ma non si sta ancora spezzando. Il primo motivo è il timore da parte cinese di un effetto domino su altri regimi della regione, e la questione di trovarsi, in caso di collasso nordcoreano, soldati sudcoreani o statunitensi ai suoi confini. Il mondo aspetta la reazione della Cina.

Silvio Berardi

Maria Paola Pagnini