È diventata definitiva la sentenza di condanna a 24 anni e 6 mesi di reclusione per Alberto Scagni, che il primo maggio del 2022 uccise a coltellate la sorella Alice, di 34 anni, a Quinto, Genova: la Suprema Corte di Cassazione, a cui i legali del 44enne si erano rivolti nel tentativo di far cadere l’aggravante della premeditazione contestatagli dall’accusa (e ottenere uno sconto di pena), ha confermato la decisione già presa dai giudici di primo e di secondo grado, riconoscendolo una volta per tutte colpevole. Intanto dalla Cedu è arrivato l’ok all’ammissione del ricorso presentato dai genitori Graziano Scagni e Antonella Zarri.

Alberto Scagni uccise la sorella Alice a Genova: condannato a 24 anni e 6 mesi anche in Cassazione

Il delitto si consumò la sera del primo maggio del 2022. Secondo la ricostruzione ufficiale, Alberto Scagni attese per almeno due ore che la sorella facesse rientro a casa, per poi coglierla di sorpresa e accoltellarla mentre portava a passeggio il cane.

La colpì per venti volte, lasciandola a terra inerme; sembra che fosse arrabbiato con lei e con il resto dei familiari: erano colpevoli, ai suoi occhi, di non dargli abbastanza denaro. Una perizia psichiatrica lo ha riconosciuto seminfermo di mente.

Questo il motivo per cui ha evitato l’ergastolo, venendo condannato, sia in primo che in secondo grado, a 24 anni e 6 mesi di reclusione. I suoi avvocati, Mirko Bettoli e Alberto Caselli Lapeschi, si erano rivolti ai giudici della Cassazione chiedendo loro di escludere l’aggravante della premeditazione, a loro parere incompatibile con la seminfermità.

Dopo l’udienza tenutasi ieri, 8 ottobre 2024, la decisione: il loro ricorso è stato giudicato inammissibile. È diventata definitiva, quindi, la sentenza di condanna. Dopo aver scontato la pena Scagni sarà ricoverato in un istituto.

Giudicato ammissibile il ricorso dei genitori alla Cedu: cosa significa

Al momento l’uomo è recluso a Torino. Ci è stato trasferito dopo aver trascorso del tempo nelle strutture penitenziarie di Genova e Sanremo, dove è stato aggredito dai compagni di cella. “Se fosse stato detenuto compatibilmente alle sue condizioni di salute, non sarebbe accaduto”, aveva detto a Tag24 l’avvocato Bettoli.

Tornando, in questo modo, su un tema molto caro ai genitori del 44enne, che prima dell’omicidio dell’altra figlia fecero di tutto per provare a farlo aiutare. Si misero in contatto con la Asl locale, poi con il 112: erano consapevoli del fatto che fosse pericoloso e che andasse fermato e curato.

Nessuno, però, fece niente. Sulla questione era stato aperto un fascicolo d’inchiesta parallelo. Si ipotizzava che una dottoressa e due agenti, in particolare, si fossero macchiati di “carenze e omissioni” e che, se avessero dato seguito alle segnalazioni dei genitori di Scagni, la tragedia sarebbe stata evitata.

Lo scorso aprile il fascicolo è stato archiviato dal gip, secondo cui, in sostanza, i denunciati non potevano avere la percezione di un pericolo imminente perché da parte dei familiari non erano state presentate – nonostante gli allarmi – denunce formali. Conclusione che l’avvocato Fabio Anselmo, che li assiste, aveva definito “inaccettabile”.

A Tag24 aveva anticipato: “Certamente andremo avanti, ci rivolgeremo sicuramente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo“. Sempre ieri, la notizia: il loro ricorso è stato accettato. “Questa prima decisione ci conforta minimamente nel nostro insanabile dolore”, il commento – affidato a una nota riportata da Rai News – degli Scagni.

“Niente e nessuno riporta in vita Alice, ma il dovere di perseguire Verità e Giustizia sarà per noi fino all’ultimo nei nostri pensieri. Col pensiero di Alice sempre vicino a noi”, aggiungono. In pochi attimi, quasi tre anni fa, hanno perso tutto. Ora si aspettano che almeno sulla questione venga fatta chiarezza.