Aveva 48 anni quando, il 7 ottobre di diciotto anni fa, fu freddata a colpi di pistola sul pianerottolo della sua abitazione di Mosca: Anna Politkovskaja faceva la giornalista. E da diverso tempo denunciava la deriva autoritaria del governo di Putin e le violazioni dei diritti umani in Cecenia.

Cosa è successo alla giornalista Anna Politkvoskaja? Diciotto anni fa l’omicidio a Mosca

Quel giorno stava rincasando. Secondo le ricostruzioni, fu colta di sorpresa e uccisa con quattro colpi di pistola mentre aspettava l’ascensore. Per la sua morte, per il suo omicidio, sono state condannate cinque persone, tra cui Sergei Khadzhikurbanov, recentemente graziato da Putin.

Si ritiene che abbiano organizzato e messo in atto il delitto in concorso. Mancano all’appello, dopo diciotto anni, i mandanti: in pratica non si sa ancora chi abbia ideato tutto. Una cosa è certa: Anna Politkosvakaja era diventata, per il potere, una figura “scomoda”.

E non era la prima volta che si cercava di eliminarla. Nel 2004, mentre si trovava in aereo, qualcuno le offrì del tè caldo e lei, dopo averlo bevuto, accusò un malore. Il pilota tornò indietro, Politkvoskaja fu ricoverata d’urgenza: i medici che la visitarono ipotizzarono che fosse stata avvelenata. Riuscì a salvarsi.

Avrebbe poi dichiarato:

Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Infatti, una persona può perfino essere uccisa semplicemente per avermi dato una informazione. Non sono la sola ad essere in pericolo e ho esempi che lo possono provare.

Nata nel 1958 a New York, era figlia di due diplomatici sovietici di origine ucraina di stanza presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Quando morì, due anni dopo il tentativo di avvelenamento in volo, ormai da anni denunciava, dalle colonne dei giornali di opposizione come Novaja Gazeta, le politiche di Putin, la violazione dei diritti umani in Russia e in Cecenia, raccontando – da inviata – gli abusi commessi dalle forze militari sul campo.

Cosa ha fatto Anna Politkvoskaja? I libri più famosi

Era stata già obbligata a fuggire all’estero: era stata minacciata. Rifiutandosi, però, di piegarsi. Scriveva:

Stiamo precipitando di nuovo in un abisso sovietico, in un vuoto di informazioni che significa morte dalla nostra ignoranza. Tutto ciò che ci rimane è Internet, dove le informazioni sono ancora liberamente disponibili. Per il resto, se vuoi continuare a lavorare come giornalista, è totale servilismo per Putin. Altrimenti, può essere la morte, il proiettile, il veleno o il processo – qualunque cosa i nostri servizi speciali, i cani da guardia di Putin – ritengano opportuno.

Il suo stile era essenziale. Il suo linguaggio schietto, chiaro, rigoroso, senza fronzoli. L’obiettivo? Raccontare la verità. Essere testimone del presente per evitare di ripiombare nel passato, migliorare il futuro. Il giorno in cui fu uccisa – data del compleanno di Putin – avrebbe dovuto pubblicare un lungo articolo di denuncia, l’ennesimo. Non ne ebbe il tempo.

Sarebbe stato tutto sequestrato. La sua morte scosse gli animi. Più di mille persone, il 10 ottobre, parteciparono ai funerali che si tennero al cimitero Troekurovskij di Mosca. C’erano parenti, amici, semplici lettori. L’opinione generale era che chi avesse deciso di colpire lei volesse in realtà inviare un messaggio a molti: intimorire, avvisare.

Tra i suoi libri più importanti si ricordano: A Dirty War; La Russia di Putin e A Small Corner of Hell: Dispatches From Chechnya. Testi che anche a distanza di anni dalla loro stesura restano “attuali”, invitando alla riflessione.

In tanti li hanno letti e li ricordano, come ricordano la giornalista: la figlia Vera, che nel 2006 aveva 26 anni, ne ha raccolto l’eredità. Dopo l’invasione dell’Ucraina ha lasciato la Russia, fuggendo in una località sicura insieme alla sua famiglia. Alla mamma ha dedicato il libro Una madre, che nel 2023 è uscito anche in Italia per Rizzoli.