Uscito lo scorso 19 settembre, “Vermiglio” è il nuovo film e secondo lungometraggio scritto e diretto dalla regista Maura Delpero. La pellicola è stata presentata in anteprima all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, poi premiata durante il festival col Leone d’Agento – gran premio della giuria. Inoltre rappresenterà l’Italia nel 2025, gareggiando nella sezione “miglior film internazionale”, ai Premi Oscar.

“Vermiglio”, recensione

1944. Quarto anno dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Alle pendici del monte Boai, in Trentino, sorge una valle desolata chiamata Vermiglio. Non sono poi così tanti i chilometri che la separano da Trento, ma la realtà è talmente diversa dalla vita di città che ai suoi abitanti pare di essere dispersi nel nulla. Chi cresce in quelle terre è come se lo facesse avvolto da una coltre di nebbia, non in grado di vedere al di fuori di quei campi disseminati ricoperti di neve. I bambini imparano a diventare adulti dando una mano ai padri che lavorano in campagna, o alle madri che si prendono cura di quelle dimore malmesse che, a guardarle da fuori, sembrano proprio baracche.

In una di queste vive Lucia (Martina Scrinzi), insieme ai suoi sei fratelli più piccoli e ai suoi genitori. Suo papà, Cesare (Tommaso Ragno), è l’unico maestro di zona e insegna in classi miste fino al diploma. Quest’ultimo, per quanto rigido e taciturno, appare comprensivo e paziente sia coi bimbi che coi ragazzi. Insegna anche ai grandi in età avanzata, convincendoli a studiare per infondergli anche solo un minimo di passione per la conoscenza affinché arrivino a possedere quantomeno la cultura più basilare per poter firmare un documento, scrivere una lettera di proprio pugno, o leggere un giornale. Cerca di fargli scoprire, con una calma serafica, che al di là dei più umili lavori manuali, se pur rispettabili, c’è un gigantesco e meraviglioso universo da scoprire dentro le pagine dei libri, ai quali appassionarsi per diventare degli abili pensatori e persone migliori. Ma Cesare in fondo è un anche un uomo presuntuoso convinto di poter scegliere in autonomia, senza deciderlo con la sua compagna, come spendere i soldi per la famiglia. Se impiegarli, ad esempio, per acquistare un disco nuovo per ascoltare la sua tanto amata musica classica, anziché tenerli da parte per mandare i figli in città a studiare per proseguire gli studi. Ma è anche un uomo buono e difatti decide di aiutare un soldato scappato dalla guerra, che si rifugia nella valle, nascondendosi, per non venir costretto a farvi ritorno.

Si chiama Pietro (Giuseppe de Domenico) e ha combattuto strenuamente in battaglia, finché gli orrori che ha visto non lo hanno fatto crollare al punto da disertare di nascosto. Non sa né leggere né scrivere, è silenzioso e conserva nello sguardo una malinconia che gli oscura il volto e gli toglie il sorriso. Ma incontrando Lucia, timidamente, ritrova una certa voglia di vivere. Non è un tipo che mostra platealmente entusiasmo, troppe cose brutte gli sono passate sotto al naso, ma inizia a consegnare bigliettini a Lucia, quando nessuno lo vede, sui quali ha disegnato precedentemente dei cuori a penna rossa. Quell’inchiostro di un colore così vivo e vispo, che risalta di spicco sul candore bianco della carta, sveglia in lei un brivido mai percepito in precedenza che le fa battere il cuore forte e tremare lo stomaco. Così cominciano a vedersi nella stalla della famiglia di lei, in mezzo alle vacche e al tepore del loro respiro, per baciarsi dolcemente sdraiati sul fieno. Giorno dopo giorno questo tenero amore, germogliato in pieno inverno in mezzo alla neve proprio quando nel gelo niente germoglia e le terre sono infertili, cresce come una pianta feconda.

E difatti questa emozione nuova sboccia e da i suoi frutti: Pietro chiede a Cesare la mano della figlia, che acconsente. I due si sposano e lungo l’avanzare delle stagioni successive il loro rapporto diviene sempre più intimo. Lucia ama Pietro con dolcezza femminea, Pietro ama Lucia istintivamente come se quel sentimento non lo riuscisse a contenere tutto. Trasuda, sgorga dai suoi occhi quando la osserva dormire stesa di fianco a lui nel talamo nuziale. Però quando lei, incinta, sarà vicina al parto lui sarà costretto a rientrare in Sicilia per far sapere alla madre che è ancora vivo. Del resto la guerra è ormai finita ed è giunto il momento di far ritorno a casa, se pur per poco. Riuscirà a tornare nella Valle prima che Lucia dia alla luce la loro bambina?

“Vermiglio”, critica

Lo scorso 2 settembre 2024 la regista Mara Delpero ha presentato “Vermiglio”, il suo secondo lungometraggio interamente scritto e diretto da lei, all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia premiato poi con il Leone D’Argento – gran premio della giuria durante il festival. Successivamente è stato selezionato per rappresentare l’Italia alla prossima edizione dei Premi Oscar, che avverrà nel 2025, nella sezione miglior film internazionale. Interpretato notevolmente bene da tutto il cast, la storia ci narra un dramma che si consuma durante gli anni della guerra, ma che purtroppo è sempre attuale. L’infedeltà, la bigamia, il lutto improvviso, la depressione, affrontati con candida naturalezza mostrandoci uno spaccato di realtà di un’epoca non così lontana, ma profondamente diversa dai giorni nostri.

Questa pellicola, splendida e commovente, ci ricorda senza retorica com’era la vita prima dei mezzi di comunicazione e di trasporto più comuni che ora riteniamo necessari; di come fosse difficile, dei rischi che si correvano e del considerevole lasso di tempo richiesto per percorrere ampie tratte, come ad esempio dal Trentino alla Sicilia, con dei mezzi di fortuna, quando adesso ci basta poco più di un’ora a bordo di un volo low cost per giungere a destinazione. Ci fa rivedere come evolveva quotidianamente l’esistenza umana senza telefono, senza internet, senza poter comunicare per lunghi periodi attendendo con ansia l’arrivo di una lettera per sapere se i propri cari, lontani o in viaggio, fossero ancora vivi. L’intero lungometraggio ti trasmette, forte come un pugno dritto all’addome, quanto si percepissero le emozioni fin dentro le viscere precedentemente a questa epoca di dissociazione emotiva. Di come siano cambiati i ritmi, gli stili di vita, ma anche la comune morale, e non sempre in meglio. È come se non conoscessimo più la vergogna, anzi come se la miseria d’animo ormai fosse quasi un vanto. Sembrerà un pensiero banale, a differenza di questo film che non lo è affatto, ma decenni fa si era in grado di sentire l’amore in un modo diverso, più intenso, più dirompente al punto da destabilizzarti, da farti percepire cosa avesse reale importanza e cosa no. Sembra quasi che non siamo più in grado di riconoscere il valore di rapporti, cose e sentimenti.

Parlando di film di guerra presentati quest’anno al festival di Venezia, l’ho trovato nettamente superiore a livello emotivo rispetto a “Campo di Battaglia” di Gianni Amelio che, invece, come impatto emozionale risulta molto più freddo. Per “Vermiglio”, delicato e stupendo, quattro stelle e mezzo su cinque.