“Giacomo Matteotti tra storia e archivio” è stato il tema di un confronto sulle sulle fonti documentarie inerenti al processo per il delitto del deputato socialista che si tenne a Chieti nel 1926. La località abruzzese è stata definita la “città-camomilla” nel marzo del 1926 dal giornalista Maria Alberto Perbellini de “Il Resto del Carlino”. A quel tempo, Chieti non sembrava presentarsi come si conviene ad un grande evento, si mostrava dedita a risolvere gli affari di ordinaria amministrazione. A distanza di cento anni dal sequestro e dall’assassinio avvenuto nel giugno 1924 l’Italia ricorda quel valoroso deputato e molti si chiedono perché il processo ai suoi sicari si svolse a Chieti.
Perché il processo ai sicari del deputato socialista si svolse a Chieti
Lo spiega in un libro, “A scelta del duce”, scritto da Marcello Benegiamo. Fu lo stesso Mussolini a scegliere Chieti come sede per lo svolgimento del processo. Una città tranquilla, la città camomilla, borghese e abitudinaria, priva di quelle forze sociali inquiete e sovversive che avrebbero potuto conte- stare e rendere difficoltoso quel processo. Un processo farsa al quale la stessa vedova Matteotti, dignitosamente, rifiutò di partecipare. Un processo di facciata con una sentenza scontata. Attraverso una rigorosa lettura delle carte processuali l’autore del libro ricostruisce un ambiente storico che va ben oltre la cronaca di un atto giudiziario documentando fatti e retroscena inediti. A Chieti si svolsero altri processi per le violenze fasciste. Tra questi destò particolare scalpore quello per i delitti compiuti a Firenze tra il 3 e 4 ottobre del 1925 in quelle tragiche ore che sono passate alla storia come la “Notte di San Bartolomeo”.