Miracolo del referendum: mettere d’accordo il leghista puro e duro Claudio Borghi e quelle schegge (anche) del centrosinistra che, dopo la raccolta firme per abolire l’Autonomia differenziata e per svincolarsi dall’attuale legge sulla cittadinanza, tengono aperto il dibattito sull’opportunità di poter indire un referendum abrogativo con solo 500 mila firme come, ad oggi, detta l’articolo 75 della Costituzione. La possibilità di raccoglierle anche on line, infatti, secondo questo modo di vedere bipartisan, lo ha reso uno strumento troppo facile che rischia di essere utilizzato a sproposito e, di conseguenza, di essere svuotato anche perché poi per convalidarne il risultato bisogna in ogni caso che vada a votare la metà più uno degli aventi diritto, cosa che è successa molto di rado: dal 1995, in sole 4 occasioni su 29. Così, a detta anche di costituzionalisti e commentatori molto ascoltati nell’ambito progressista come Alfonso Celotto e Antonio Polito, si fa strada in maniera bipartisan il dubbio se non sia il caso di alzare la quota delle firme da raccogliere per iniziare il processo di indizione di una consultazione popolare. La democrazia è una cosa da utilizzare con cura, anche quando la su vuole diretta.

Borghi (Lega) contro il referendum facile: “Aboliamo le firme elettroniche”

Sia il leghista Borghi che le anime del centrosinistra che pensano sia giusto rivedere la regola delle 500 mila firme, dopo la battaglia per riformare la legge sulla cittadinanza, pensano che se si rende il referendum uno strumento troppo facile quest’ultimo rischia di snaturarsi. D’altronde, quando i padri costituenti fissarono a 500 mila firme il quorum per indirlo, nel 1948, questa soglia si rapportava a 28 milioni di aventi diritto al voto complessivi. E oggi sono oltre 47. Proprio questo punto è stato sottolineato dal costituzionalista Celotto, il quale arriva a parlare finanche di “doping referendario”

I tentativi di riforma del centrosinistra

Sta di fatto che non è una novità che anche nel campo del centrosinistra si voglia modificare il numero delle firme per indire un referendum. Nel corso della sedicesima legislatura, infatti, fu una senatrice del Partito Democratico, Vittoria Franco, a proporre per prima di alzare il numero di firme a un milione. Già molto tempo prima della possibilità di firmare elettronicamente, Franco riteneva giusto farlo semplicemente perché il numero degli elettori in Italia era aumentato rispetto ai tempi della Costituente. Ma prima ancora di lei, fu Severino Galante dei Comunisti italiani a proporre di trasformare il requisito delle 500 mila firme in una soglia percentuale (lo voleva al 2% del totale) e, nel 2005, i senatori dell’Ulivo Mauro Betta e Renzo Michelini. Ora, ricordato anche che la campagna referendaria per la depenalizzazione della cannabis, bocciato poi dalla Consulta, nel 2021, aveva raccolto 500 mila firme in una sola settimana, la possibilità della raccolta firme on line evidentemente cambia le carte in tavola. Così il salviniano Borghi ha buon gioco quando dice che bisogna cambiare le regole: o si innalza il numero delle firme necessarie (ma si dovrebbe apportare una modifica costituzionale) o si cancella la norma voluta a cavallo tra il Governo Conte II e Draghi che dà il via libera alla raccolta firme online su una piattaforma del Ministero della Giustizia tramite un Dpcm pubblicato lo scorso luglio. E il semplice Spid.