Lo scorso 27 settembre sulla piattaforma di streaming Paramount+ è uscito il film horror “Appartamento 7A”, prequel dell’iconico “Rosemary’s Baby” del regista Roman Polański. Prodotto dalle case di produzione Paramount Players, Sunday Night Productions e Platinum Dunes, la pellicola è stata presentata in anteprima al Fantastic Fest 2024.

“Appartamento 7A”, recensione

Terry Gionoffrio (Julia Garner) è una ragazza minuta con due grandi occhi turchesi. È cresciuta ad Hazard, in Nebraska, nella fattoria di famiglia. Quand’era ancora piccola ha perso la madre e dopo la sua morte il padre ha iniziato lentamente a lasciare che la tristezza lo trascinasse sul fondo di un abisso gelido e buio. Sprofondato nella disperazione, si è lasciato divorare in un sol boccone dalla depressione senza opporre la minima resistenza. Così Terry, coi suoi splendidi occhi blu come il mare, ha imparato presto a tacere nascondendo il dolore dietro uno sguardo malinconico e disilluso. Ha sviluppato un temperamento mite, timido, quasi impaurito dal prossimo; è talmente gentile che è praticamente incapace di dire di no a chiunque. Ma da bambina scoprendo la danza è riuscita ad aggrapparcisi con tutte le forze che possedeva, anche quelle che il papà aveva smarrito; adesso che è cresciuta ed è una giovane adulta è scappata a New York per cercare di diventare una ballerina di successo.

È il 1965 e le donne iniziano a pretendere il loro spazio nella società, a rivendicare il diritto all’indipendenza, ed esattamente come loro Terry sogna di realizzarsi facendo carriera. Non avendo abbastanza soldi per camparsi da sola, tra un’audizione e l’altra, vive momentaneamente dalla sua amica Annie Leung (Marli Siu). Riesce a farsi assumere da una compagnia di ballo, ma durante uno spettacolo cade, ferendosi alla caviglia destra. Questo incidente le costerà l’ingaggio e l’imbarazzo nel mondo della danza. Poco tempo più tardi riprenderà a partecipare a delle audizioni, senza grossi successi, ma cocciuta e determinata si presenterà al domicilio Alan Marchand (Jim Sturgess), un produttore famoso che recentemente l’ha ridicolizzata durante un colloquio, sperando di strappargli una seconda occasione.

In quella circostanza farà la conoscenza di una simpatica coppia di anziani, Minnie (Dianne Wiest) e Roman Castevet (Kevin McNally), vicini di casa di Marchand. Venendo a conoscenza della situazione, non avendo mai avuto figli ma col desiderio di averne, decideranno di aiutare Terry offrendole di trasferirsi in un loro appartamento sfitto, nello stesso palazzo, a titolo gratuito.  Quel meraviglioso stabile nel quale vivono è il rinomato Dakota building, un prestigiosissimo condominio dell’Upper West Side nel cuore di Manhattan. Come poter mai rifiutare un’offerta simile? Terry con riconoscenza e una punta di imbarazzo accetterà entusiasta, ma sarà allora che verrà risucchiata in un vortice di strani e inspiegabili fenomeni inquietanti. Quali saranno le vere intenzioni dei Castavet? E cosa si nasconde davvero tra le fascinose mura del Dakota?

“Appartamento 7A”, curiosità e critica

Era il 1880 quando Edward C. Clark, colui che fondò la Singer Sewing Machine Company nel 1851 insieme a Isaac M. Singer, incaricò l’architetto Henry J. Hardenbergh di costruire un palazzo di lusso in una zona periferica di Manhattan, più precisamente nell’Upper West Side. A quell’epoca l’idea rappresentò una vera rivoluzione per l’edilizia urbana, perché fino a quel momento gli appartamenti venivano destinati esclusivamente alle classi più povere; per tanto l’inventiva di creare un condominio sfarzoso fu assolutamente originale e stravagante. Ma la trovata ebbe successo e quello che poi venne denominato Dakota building diventò una delle icone più prestigiose di New York. Ma purtroppo Clark non fu mai in grado di vedere il suo sogno concretizzarsi, perché morì prematuramente prima della fine dei lavori di costruzione.  Andando avanti con gli anni moltissimi imprenditori, artisti e celebrità fecero di tutto pur di poter vivere presso il Dakota, aumentando l’aura di prestigio intorno a un fenomeno edilizio che fece scalpore durante la fine dell’800. Questo gli conferì anche una certa aria di mistero che fece nascere non poche dicerie e leggende.

Ed ecco che, proprio da qui, il regista Roman Polański negli anni ’60 ebbe l’idea folgorante di girare un horror ambientato in quel palazzo affascinante e anche un po’ spettrale, dirigendo e scrivendo lui stesso l’omonimo adattamento cinematografico del romanzo di Ira Levin.  “Rosemary’s Baby”, con Mia Farrow nel ruolo della protagonista, divenne ben presto un cult dell’orrore, ma quel che pochi sanno è che originariamente la parte di Rosemary era destinata a Sharon Tate, l’allora moglie del regista morta qualche mese più tardi l’uscita del film. Ma la Paramount, che si occupò della distribuzione del lungometraggio, impose la Farrow per questioni di risonanza mediatica in quanto neo sposa di Frank Sinatra e acclamata da tutte le ragazzine dell’epoca. Altri due scioccanti casi di cronaca sono legati a quell’edificio tanto famoso: l’omicidio di John Lennon, avvenuto l’8 dicembre 1980 davanti al portone d’ingresso, e l’assassinio di Kim Schmidt moglie dell’attore Gig Young. La coppia era sposata da appena tre settimane quando Young uccise la compagna, per poi suicidarsi sparandosi un colpo di pistola.

È in questo contesto storico e culturale che nel 2021 venne annunciato che le case di produzione Paramount Players, Sunday Night Productions e Platinum Dunes avevano affidato alla regista Natalie Erika James l’arduo compito di girare un prequel dell’horror di Polański. Arriviamo così al 27 settembre 2024 quando “Appartamento 7A” viene finalmente rilasciato in streaming sulla piattaforma digitale di Paramount+. La trama racconta la storia di Terry Gionoffrio, uno dei personaggi marginali del primo lungometraggio, ballerina del Nebraska trasferitasi a New York in cerca di fortuna nel mondo della danza, che si imbatte nella diabolica coppia dei Castavet pochi mesi prima che Rosemary si trasferisse col marito al Dakota building. Nonostante il budget limitato e il suo essere destinato al mondo dello streaming, è comunque un prodotto godibile e di buona esecuzione. Il punto però è: questo progetto era necessario per la crescita della storia del cinema come fece l’horror di Polański? La risposta è no. Se “Rosemary’s Baby” rappresentò una novità assoluta e un autentico sconvolgimento per una società ancora non abituata a un certo tipo di pellicole e di argomenti come il satanismo, scioccando gli spettatori di tutto il mondo e incassando miliardi di dollari, “Appartamento 7A” invece rimarrà per sempre in un remoto angolo degli archivi digitali. Un ennesimo thriller guardabile, quando hai due ore da buttare, che si aggiunge a un gigantesco mucchio di filmetti facilmente dimenticabili. Per quanto detesti la figura di Roman Polański (per ovvie motivazioni) e non reputi il suo film del 1968 un capolavoro, non posso non riconoscerne la fantasia e l’importanza che ebbe a quei tempi, aprendo le danze per un genere nuovo.
Per “Appartamento 7A”, senza infamia e senza lode, il mio giudizio è di 3 stelle su cinque. Buono, ma non lascia il segno.