La prima fase dell‘offensiva del centrosinistra contro l’Autonomia Differenziata si è conclusa. Dopo la consegna in Cassazione delle firme raccolte per la richiesta del Referendum abrogativo della Legge 86/2024 – nota come Legge Calderoli – promosso dalla Cgil e da tutti i partiti di opposizione, anche le cinque ‘regioni ribelli’, Campania, Puglia, Sardegna, Toscana ed Emilia Romagna hanno depositato i due quesiti referendari votati nei rispettivi consigli regionali.

La prima parte della campagna referendaria si è conclusa e in attesa di entrare nella fase successiva, le regioni pro-autonomia, Veneto, Lombardia e Piemonte in testa, provano ad accelerare le richieste per ottenere il trasferimento dei poteri per tutte le materie per le quali non sono previsti i famosi Lep, i livelli essenziali di prestazioni, necessari per il trasferimento dei poteri e dei fondi in ambiti come istruzione, salute e trasporti.

La fuga in avanti delle regioni del Nord, appoggiata dal Ministro della Lega per gli Affari Regionali e l’ Autonomia, Roberto Calderoli, non piace però in maggioranza dove i tentativi di frenare l’impazienza dell’alleato Matteo Salvini sono all’ordine del giorno. L’ultimo strappo è arrivato nelle scorse ore con il netto rifiuto del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ad avviare una discussione per il trasferimento delle competenze in materia di commercio estero con le regioni. Un rifiuto che ha irritato la Lega, ma che è appoggiato anche da Fratelli d’Italia anch’esso preoccupato per i tentativi del Carroccio di accelerare il processo di devolution.

Referendum Autonomia, a che punto siamo? Tre i quesiti depositati: la parola passa alla Consulta

La parola adesso passa alla Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei quesiti presentati dal comitato referendario e dalle regioni per un eventuale referendum abrogativo della legge 86/2024, approvata lo scorso 19 giugno dal Parlamento.

La prima fase della battaglia contro la ‘legge spacca Italia’, come è stata ribattezzata dai partiti di opposizione di centrosinistra, si è conclusa con più di un milione e 300 mila firme raccolte in meno di tre mesi ai banchetti nelle piazze italiane e online sulla piattaforma del Ministero della Giustizia. Ma quello della Cgil e del centrosinistra non è il solo referendum contro l’Autonomia Differenziata su cui la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi, poiché nelle scorse ore i governatori delle cinque regioni contrarie alla riforma hanno presentato i due quesiti votati nei consigli regionali.

Due quesiti di cui uno è uguale a quello presentato dal comitato referendario, mentre il secondo si propone di abrogare solo una parte della legge, quella che riguarda il trasferimento delle materie Lep, così da avere una rete di sicurezza nel caso in cui la Corte Costituzionale dovesse ritenere inammissibile il primo quesito, quello per il quale sono state raccolte le firme.

Quando si vota? In primavera, la data la decide il Governo

Dopo il pronunciamento della Corte, in caso di esito positivo, si aprirà la seconda fase della battaglia, quella della campagna referendaria che porterà alle urne nella primavera del 2025, quando gli italiani potrebbero dover esprimere il proprio parere anche su altri due referendum: quello sulla concessione della cittadinanza italiana e quello sul jobs act. In questa fase la sfida più ardua sarà quella di riuscire a portare gli elettori alle urne dal momento che, trattandosi di referendum abrogativi, la legge prevede che per essere validi voti più della metà degli aventi diritto.

La data del referendum sarà decisa dal Governo in un week end compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Intanto il Governatore della Lega Luca Zaia ha annunciato l’intenzione di fare ricorso alla Consulta contro le Regioni che vogliono abrogare la legge.

Scontro sull’export, Tajani: “Finiremo con il fare guerra vino tra Puglia e Piemonte?”

Sembra essere Lega contro tutti anche all’interno del Governo. Dopo l’approvazione in Parlamento lo scorso giugno della Riforma dell’autonomia differenziata e nelle more che vengano stabiliti i criteri per la definizione dei Lep (senza i quali la riforma non può partire), gli amministratori della Lega, sostenuti dal ministro Calderoli, stanno spingendo per avviare le trattative Stato-Regioni in merito a quelle materie che non necessitano della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.

Una fuga in avanti che non piace a Forza Italia e al segretario Antonio Tajani (preoccupati per le ripercussioni in termini di consensi nelle regioni meridionali) che in questi giorni si è messo di traverso per quanto concerne le materie di sua competenza, ovvero quelle relative al commercio estero e ai rapporti con gli Stati dell’Ue.

Al collega Calderoli, che aveva chiesto un incontro per discutere dei dettagli per il trasferimento di tali competenze alle regioni che ne faranno richiesta, Tajani avrebbe risposto che no, non se ne parla, perché tali materie sono e devono restare di competenza dello Governo.

Oggi intervenendo alla trasmissione ‘In Mezz’ora’ ha spiegato che nella risposta al ministro della Lega ha esposto le sue perplessità sottolineando che ci sono competenze che:

“Non possono essere toccate perché sono al di là di quelle previste, soprattutto per quello che riguarda il mio portafoglio. Sono responsabile dell’export e credo sia sbagliato affidare l’export a ogni Regione, poi cosa facciamo, la guerra tra i vini piemontesi e pugliesi?”.

Il viceministro Cirielli (FdI) rincara: “Devolution impossibile nel commercio estero”

Una risposta che naturalmente ha irritato non poco gli alleati della Lega, ma che però ha trovato la sponda del partito della premier Giorgia Meloni, poiché in queste ore il viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli ha chiarito:

“L’autonomia nel commercio estero, nella cooperazione internazionale e nei rapporti con l’Unione europea, così come richiesto dalle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, creerebbe pericolose asimmetrie di natura legislativa e amministrativa che darebbero origine a caos nei rapporti dello Stato italiano con il resto del mondo. Una ‘devolution’ impraticabile nella materia esteri perché sarebbe molto difficile, se non impossibile, creare tra governo ed enti territoriali un costante raccordo che assicuri unitarietà e coerenza alla politica estera della nostra nazione senza generare sconnessione e confusione”.