I genitori di Yara Gambirasio hanno presentato un esposto al Garante della Privacy contro Netflix per aver diffuso nella serie “Il caso Yara”, le telefonate private.

Gli avvocati della famiglia, Andrea Pezzotta ed Enrico Pelillo, hanno dichiarato che la trasmissione degli audio privati, registrati dalla madre Maura Panarese sulla segreteria telefonica della figlia scomparsa, rappresenta una grave violazione della privacy.

Questi messaggi, infatti, non erano stati inclusi negli atti dell’inchiesta perché ritenuti non rilevanti ai fini delle indagini. Sono stati trasmessi senza il consenso dei genitori.

Gli avvocati hanno espresso indignazione per l’accaduto, sottolineando che non c’era alcuna necessità di diffondere quei messaggi intimi e personali.

I genitori di Yara denunciano Netflix, cosa è successo?

I genitori di Yara Gambirasio, l’adolescente di soli 13 anni che nel 2010 fu uccisa a Brembate di Sopra, Bergamo, hanno presentato un esposto al Garante della Privacy contro Netflix per la diffusione di telefonate private nella docuserie Il caso Yara, oltre ogni ragionevole dubbio.

La serie ha sollevato molte polemiche per l’inclusione di messaggi vocali lasciati dalla madre di Yara, Maura Panarese, sulla segreteria telefonica della figlia nei giorni successivi alla sua scomparsa.

Questi messaggi, che non hanno alcuna valenza per il caso ma sono solo dettagli personali e intimi, che esprimono il dolore e la disperazione di una madre, non erano stati inclusi negli atti dell’inchiesta.

Nonostante questo, sono stati trasmessi nella docuserie senza il consenso della famiglia, violando la loro privacy e causando ulteriore sofferenza.

Gli avvocati della famiglia, Andrea Pezzotta ed Enrico Pelillo, hanno dichiarato che la decisione di Netflix di trasmettere ugualmente questi audio, è una grave incursione nella vita privata dei genitori di Yara, e non c’era alcuna necessità di farlo, perché non avrebbero aggiunto nulla alla serie, se non soddisfare una curiosità morbosa.

La docuserie, diretta da Gianluca Neri, ha riacceso i riflettori sul caso di Yara Gambirasio, ma ha anche sollevato importanti questioni etiche e legali riguardo al trattamento dei dati personali e alla tutela della privacy nelle produzioni televisive e cinematografiche.

La famiglia Gambirasio si è detta indignata per l’accaduto e determinata a ottenere giustizia. Questo esposto potrebbe avere ripercussioni significative non solo per Netflix, ma anche per l’intera industria dell’intrattenimento.

Il rispetto per la privacy delle persone coinvolte in casi di cronaca nera spesso non viene considerato degno di attenzione.

La risposta del Garante della Privacy sarà fondamentale per determinare le conseguenze legali di questa vicenda e potrebbe stabilire un precedente importante per la protezione della privacy nelle future produzioni documentaristiche.

In questa docuserie parla anche Bossetti

Al centro delle indagini, dopo l’omicidio di Yara, è finito Massimo Bossetti, un operaio edile condannato poi all’ergastolo per l’omicidio.

La scoperta che Bossetti non fosse figlio biologico di suo padre, ma dell’autista Giuseppe Guerinoni, ha rappresentato una svolta nelle indagini. Le tracce di DNA rinvenute sul corpo di Yara corrispondevano a quelle di Bossetti, e il suo cellulare e il suo furgone sono stati ricollegati alla scena del crimine. Il movente, secondo l’accusa, sarebbe stato di natura sessuale.

Nonostante la condanna definitiva, Bossetti ha sempre proclamato la sua innocenza. Nel documentario “Il caso Yara”, l’uomo dal carcere, ha ribadito la sua versione dei fatti e la sua innocenza.

Questo ha sollevato nuovi interrogativi sulla gestione delle prove. In particolare, sono state messe in discussione le modalità con cui sono state gestite alcune tracce biologiche e il DNA dell’uomo.

La recente possibilità di analizzare nuovamente le prove potrebbe aprire nuovi scenari e riaccendere il dibattito su un caso che continua a dividere l’opinione pubblica, tra innocentisti e colpevolisti.