Si sta discutendo sull’entrata in vigore dell’obbligo di destinare il 25% del TFR nei fondi pensione: la proposta ha destato subito dubbi e molte critiche, soprattutto ragionando in termini di guadagno: a quanto ammonta la rendita?
L’ipotesi è stata avanzata come soluzione al problema delle pensioni, insufficienti a risolvere le sfide, le difficoltà e la vita, in generale, che i lavoratori si troveranno ad affrontare una volta lasciato il mondo del lavoro.
Secondo i primi calcoli, la rendita della parte del trattamento di fine rapporto dei fondi nei fondi pensioni sarà davvero molto bassa. Inoltre, è saltato subito fuori che con un intervento di questo tipo c’è il rischio di incostituzionalità.
Vediamo quanto guadagnerai davvero, qualora la proposta venisse approvata.
La proposta sul TFR nei fondi pensione
Il sottosegretario leghista al Lavoro, Claudio Durigon, ha avanzato la proposta di far versare obbligatoriamente il 25% del Trattamento di fine rapporto nei fondi pensione. L’obiettivo di questa mossa sarebbe quello di aumentare l’assegno pensionistico, considerando le difficoltà crescenti dei lavoratori, una volta lasciato il mondo del lavoro.
Infatti, il tema della previdenza rimane uno dei nodi più difficili da sciogliere. Sono state avanzate diverse proposte, ma quella che, almeno negli ultimi giorni, ha fatto discutere riguarda proprio il destino del 25% del TFR.
A quanto ammonta la rendita del TFR nei fondi pensione secondo i calcoli della CGIL
La proposta ha subito sollevato un polverone di dubbi, incertezze e criticità. La CGIL ha già fatto i calcoli, con il risultato che le rendite mensili sarebbero veramente basse.
Si pensa a una media di circa 40 euro. Per non dimenticare, poi, che il trattamento di fine rapporto è un salario differito. Le cifre dovrebbero andare dai 22,39 euro ai 112,45 euro di rendita mensile per gli uomini e dai 18,61 euro ai 93,52 euro per le donne.
Bisogna considerare un altro fatto: quando il lavoratore ha iniziato a versare i contributi. Se consideriamo un lavoratore che versa i contributi più tardi, la rendita mensile sarà di gran lunga inferiore. E ciò vale sia per gli uomini che per le donne.
Ma i risultati non cambiano di molto neppure in funzione del reddito: sia per i redditi bassi che per i redditi alti non si avrà un grande guadagno.
Le donne, in ogni caso, sarebbero molto più penalizzate rispetto agli uomini. Esistono già (e ancora) profonde disuguaglianze di genere, sia in ambito lavorativo che previdenziale, e questa misura rischierebbe di accentuarle. Il motivo è lampante: le carriere lavorative delle donne sono molto più frammentate e si registra una maggiore incidenza del part-time. Due ingredienti che fanno già risultare le rendite pensionistiche inferiori rispetto agli uomini.
Inoltre, non si tratta solo di (bassissima) convenienza in termini economici. Non si può obbligare un lavoratore a conferire il proprio salario nei fondi pensione senza un’adesione esplicita, in quanto si sfocerebbe nell’incostituzionalità.
Il 25% del trattamento di fine rapporto nei fondi pensioni non garantisce la sicurezza economica
Un ultimo aspetto da considerare è l’entità irrisoria della percentuale del TFR da destinare nei fondi pensione. Si tratta di una parte insufficiente a garantire una previdenza integrativa. Per avere una buona previdenza integrativa ne servirebbe decisamente di più, cosa assolutamente difficile da proporre.
Il TFR rappresenta un salvagente economico tra un impiego e l’altro: una sorta di riserva da utilizzare nei momenti di difficoltà. Se si imponesse di trasferimento forzato di una parte del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, si andrebbe a togliere ai lavoratori la possibilità di utilizzare questa risorsa in modo flessibile e nei momenti di difficoltà finanziaria. I lavoratori sarebbero esposti a rischi molto alti, come far fronte a periodi di disoccupazione o emergenze economiche di diverso tipo.
Certo, dobbiamo anche considerare diverse esigenze, per le quali destinare il TFR nei fondi pensione potrebbe essere meglio. Ma si tratta, in ogni caso, di una scelta personale.