Una donna statunitense di 64 anni che soffriva di una “grave compromissione immunitaria” l’ha usata per togliersi la vita in una baita situata nella foresta di Merishausen, nel cantone settentrionale di Schaffhausen, in Svizzera: ecco cos’è e come funziona la capsula Sarco, ora sottoposta a sequestro.
Cos’è e come funziona la capsula Sarco? Tutto sulla macchina per il suicidio assistito progettata in Svizzera
I fatti risalgono allo scorso lunedì. A renderli noti, fonti locali, secondo cui diverse persone sarebbero già state arrestate per istigazione e complicità al suicidio in relazione alla morte della donna. La macchina che ha usato, Sarco (da “sarcofago”, per la forma), è infatti illegale.
È stata progettata nel 2017 dal dottor Philip Nitschke, membro della Exit International, l’organizzazione senza scopo di lucro che da anni si batte per la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito nel mondo, con la collaborazione del designer Alexander Bannink e stampata in 3D. L’aspetto è volutamente futuristico.
Se la si guarda, si pensa immediatamente a una navicella spaziale. L’obiettivo, infatti, è quello di idealizzare il “viaggio” dell’aspirante suicida. Il funzionamento è semplice: la persona che vuole morire (dopo aver compilato un apposito modulo) vi si corica dentro, azionando un pulsante con il quale l’azoto presente in un apposito serbatoio viene rilasciato all’interno della capsula, precedentemente chiusa.
Contemporaneamente, tutto l’ossigeno presente viene aspirato. Cosa che provoca, in chi si trova nella macchina, uno stordimento; poi la perdita di coscienza e la morte per ipossia (carenza di ossigeno, appunto). Il tutto in circa cinque minuti, senza necessità di assumere farmaci e apparentemente senza sofferenze: elevate concentrazioni di azoto impedirebbero, infatti, di avvertire senso di soffocamento e panico, portando a quella che il fondatore ha definito, su X, “una morte idilliaca e pacifica“.
Perché Sarco è stata sequestrata? La ricostruzione
I temi dell’eutanasia e del suicidio assistito dividono da sempre l’opinione pubblica. C’è chi pensa che un malato debba avere il diritto di scegliere di morire; chi ritiene, invece, che la vita debba essere preservata ad ogni costo.
Le legislazioni di molti Paesi in tal senso sono stringenti: si pensi all’Italia, dove l’eutanasia è illegale. L’unica via percorribile – sulla base di una serie di condizioni – è quella del suicidio medicalmente assistito, che consiste nel ricevere l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico.
La Svizzera è più aperta: sul “fine vita” garantisce una discreta libertà di scelta. Il problema è che Sarco, come ha spiegato lunedì la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider rispondendo a un’interrogazione parlamentare “non è conforme alla legge“.
Due i principali motivi: il primo è che non soddisferebbe “i requisiti della normativa sulla sicurezza dei prodotti”; il secondo è che “l’azoto al suo interno non è compatibile con il dettato della legge sui prodotti chimici”.
Lo riporta il Corriere del Ticino, specificando che per i suoi produttori, al contrario, il dispositivo rispetterebbe la legge. Per il presidente della Commissione Etica dell’EOC (l’Ente Ospedaliero Cantonale) Mattia Lepori,
il problema non è il dispositivo. Se queste persone intendono agire facendosi forti del fatto che la nostra legislazione è molto liberale e quindi non rispettando quelle che sono le direttive dell’accademia svizzera delle scienze mediche e della federazione dei medici svizzeri – ha dichiarato, sempre secondo il Corriere del Ticino – è possibile che ci sia un fenomeno di risucchio, persone che vengono dall’estero per beneficiare di questa assistenza che negli altri Paesi non è permessa.
Cosa che, soprattutto sul lungo termine, potrebbe diventare un problema.