Errare è umano e anche il commercialista può sbagliare: chi paga se commette un errore? Quanti clienti si saranno fatti questa domanda, trovandosi in situazioni spiacevoli in cui il Fisco ha erogato sanzioni tributarie proprio ai cittadini, pur non avendo alcuna colpa.
La verità è molto dura da accettare, ma solo in caso di commissione di un reato da parte del professionista e subito denunciato il cliente può evitare conseguenze spiacevoli.
Quello che faremo nel testo, è capire proprio cosa accade quando un commercialista commette un errore e quando è tenuto a pagare il cliente.
Chi paga quando il commercialista commette un errore
Errori da parte del commercialista possono essere molto comuni. La gravità e le relative conseguenze sono determinate proprio dalla tipologia di errore e dalla possibilità di rimediare o meno.
Quando il professionista ha una svista o commette un errore per il quale il contribuente non ne trae vantaggio, molto probabilmente, quest’ultimo non subirà sanzioni.
Al massimo, in questi casi, l’Agenzia delle entrate pretenderà solo la differenza tra l’imposta versata e quella che effettivamente bisognava pagare all’Erario. Si, pensi, per esempio, al pagamento IMU sbagliato.
Si tratta di una circostanza per cui non c’è bisogno di chiedere un risarcimento al professionista, in quanto il cliente deve semplicemente corrispondere all’Agenzia delle entrate quanto comunque avrebbe dovuto versare.
Allora quando si pone il problema? Ovviamente, quando si deve pagare anche una sanzione. Chi deve pagare? La Cassazione ha precisato che se il contribuente ha la possibilità di dimostrare che il mancato pagamento delle imposte dipende dal comportamento del commercialista.
Come chiedere il risarcimento al commercialista in errore
Il Fisco potrebbe comunque ritenere responsabile di un errore il contribuente, anche quando questi non ha colpa. In ogni caso, ciò non esclude che il contribuente possa chiedere il risarcimento del danno al commercialista.
Come fare? Il cliente deve rivolgersi al professionista stesso, tenendo fuori l’Agenzia delle entrate.
Il contribuente deve chiedere di essere tenuto indenne da qualsiasi conseguenza di tipo economico, ovvero da eventuali maggiorazioni dovute al Fisco, e della sua stessa condotta.
Da parte sua, il commercialista dovrà attivare la propria assicurazione oppure dovrà pagare in proprio il danno subito dal cliente.
Come evitare di pagare le sanzioni quando la colpa è del commercialista
Non dobbiamo tralasciare, per ultimo, i casi in cui l’errore del commercialista integra un reato. Se il contribuente riesce a dimostrare di versare in uno stato di cosiddetto “ignoranza incolpevole” per aver vigilato sulla condotta del professionista, ma non aver potuto far nulla per evitare l’illecito, allora può rivolgersi all’Agenzia delle entrate.
Per quale motivo rivolgersi all’Agenzia delle entrate? Solo quando avviene quanto detto, il contribuente può chiedere lo sgravio delle sanzioni.
In base all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 472/97, i contribuenti «non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi».
Spostandoci su un linguaggio più tecnico e scendendo a fondo nella norma, parliamo di cause di non punibilità. Il contribuente può chiedere al giudice l’esclusione dell’applicazione delle stesse, fermo restando il dovuto pagamento dell’imposta.
Per beneficiare della suddetta esenzione, il contribuente deve formulare una domanda apposita all’Agenzia delle entrate richiedendo l’inapplicabilità delle sanzioni.
Può anche accadere che l’Agenzia delle entrate notifichi comunque l’accertamento fiscale. In questo caso, si deve far necessariamente ricorso alla Corte di Giustizia tributaria e presentare istanza di sgravio delle sanzioni. Inoltre, le violazioni contestate devono avere come oggetto l’omesso versamento di tributi e non devono essere riconnesse a violazioni di natura formale. Tutti quelli elencati, sono chiarimenti forniti nel corso del tempo dalla stessa Corte di Cassazione.