La mattina del 25 settembre del 2005 è morto a Ferrara, dove era nato e cresciuto, in seguito al pestaggio seguito a un controllo di polizia in strada: ecco chi era Federico Aldrovandi e la ricostruzione di cosa gli è successo.
Cosa è successo a Federico Aldrovandi? La ricostruzione
Federico Aldrovandi, 18 anni, frequentava l’Itis. Nel tempo libero, come molti suoi coetanei, si dedicava alle attività più disparate: guardava il calcio (era un appassionato tifoso della Spal), suonava il clarinetto, faceva karate. Di tanto in tanto lavorava come pony express per una pizzeria della sua città, Ferrara.
Quando è morto, nel mese di settembre del 2005, aveva ancora tutta la vita davanti. Insieme ad un gruppo di amici aveva preso parte a un concerto di musica reggae in un centro sociale di Bologna, il Link, consumando modeste quantità di alcol e droga.
Poi, in nottata, era tornato a Ferrara. E, mentre faceva due passi, prima di rincasare, era stato fermato da una pattuglia. Quattro i poliziotti intervenuti, successivamente finiti a processo per la sua morte: Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri.
Stando a quanto ricostruito nel corso di lunghe indagini, lo avrebbero picchiato con i manganelli nel corso di una lunga colluttazione. A loro dire, in quel momento il ragazzo – che per gli amici era “lucido” – “era in evidente stato di agitazione”.
All’arrivo dei soccorsi, quella mattina del 25 settembre, era “riverso a terra, prono, con le mani ammanettate dietro la schiena”. Poco dopo le 6 si sarebbe spento a causa delle lesioni riportate.
19 anni fa la morte del 18enne: quattro i poliziotti condannati
Nel 2012 i quattro poliziotti – che in un primo momento avevano attribuito la causa del decesso del giovane a un “malore” – sono stati condannati in via definitiva per omicidio colposo con “eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi e della violenza” a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Per i magistrati Federico è morto – come messo in evidenza anche da una perizia – “per il trauma a torace chiuso” provocato dalle “percosse da schiacciamento” subite “quando era già ammanettato” (e quindi impossibilitato ad opporre resistenza).
La sua vicenda, che all’epoca aveva sconvolto l’opinione pubblica, ancora è impressa nella mente di molti. Soprattutto perché i responsabili, potendo beneficiare dell’indulto, hanno scontato, alla fine, solo sei mesi (molti dei quali ai domiciliari), tornando in servizio. Cosa che i familiari della vittima non hanno mai accettato.
Nel 2006 hanno dato vita a un’associazione che, oltre a mantenere vivo il ricordo del 18enne, come si legge sul sito si pone lo scopo di “sensibilizzare e promuovere l’informazione sugli abusi di potere delle forze dell’ordine e di qualunque soggetto in posizione dominante”.
Il ricordo è ancora vivo
Ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte di Federico, in tanti si danno appuntamento in via Ippodromo, luogo del pestaggio, per commemorarlo.
Il 25 settembre di ogni anno, giunta l’alba, si ripete quello che per me rimarrà per sempre un incubo, o peggio, il ricordo orribile dell’uccisione di un figlio da parte di chi avrebbe dovuto proteggergli la vita,
ha scritto qualche anno fa il papà su Facebook. Sono in molti, come lui, a non capacitarsi di quanto ha dovuto subire ormai 19 anni fa. Fedez lo ha citato nel singolo “Un Giorno in Pretura”, in cui parla anche di Giulio Regeni, morto nel 2016 in Egitto. Il processo che lo riguarda è ancora in corso a Roma: ieri, 24 settembre 2024, è stata ascoltata in aula l’ambasciatrice Elisabetta Belloni.