L’estate è ufficialmente finita: a catapultare l’Italia nella morsa della stagione fredda le incessanti piogge delle ultime settimane e il drastico calo delle temperature, ma anche la minaccia della bronchiolite, che ha visto un’impennata di casi negli ultimi giorni in bambini e neonati.
La malattia, provocata dal virus respiratorio sinciziale (Vrs), è una delle cause di mortalità nei piccoli al di sotto dei 5 anni, con oltre 100mila decessi nel mondo ogni anno. Ma quando preoccuparsi? Quali sono i sintomi? Nel 70% dei casi, il Vrs può portare allo sviluppo della bronchiolite nel neonato, ma se presa in tempo, può essere debellata in poco tempo oppure risolversi da sola.
Tag24 approfondisce l’argomento con il dottor Fabio Midulla, pediatra e direttore del Master di II livello di Emergenze Pediatriche, che spiega come comportarsi in caso di bronchiolite.
Bambini e neonati a rischio bronchiolite: quali sono i sintomi?
Tosse, naso chiuso e smocciolante, febbre e starnuti: questo l’abc dell’infezione da virus respiratorio sinciziale, che colpisce le basse vie aeree. Nei casi più gravi, però, il Vrs può sfociare in una bronchiolite, che, tuttavia, non è semplice da distinguere dal semplice raffreddore.
Come spiega a Tag24 il pediatra Fabio Midulla, direttore della Scuola di Specializzazione in Pediatria e del Master di II livello di Emergenze Pediatriche:
“È una malattia infettiva, contagiosa: i bambini prendono l’infezione dagli adulti che sono influenzati, raffreddati e che hanno la tosse. La situazione tipica è che in famiglia c’è un bambino o qualcuno che è raffreddato – prevalentemente i fratellini che vanno all’asilo – e contagia l’altro. All’inizio la malattia è banale, difficilissima da distinguere dalle altre malattie influenzali perché dà raffreddore, tosse e febbre.
Fra il terzo e il quinto giorno può comparire la difficoltà a respirare. Il bambino mostra i segni di un interessamento delle basse vie respiratorie, quindi ha una frequenza respiratoria aumentata, ha i rientramenti, l’alitamento delle pinne nasali e, fondamentalmente, non si alimenta. Cosa importante è che prima il bambino comincia a ridurre l’alimentazione e poi compare il distress respiratorio. La fase acuta della malattia dura 3-5 giorni e il 90% dei bambini guarisce in 3 settimane“.
I sintomi, infatti, sono gli stessi, ma la bronchiolite ha un decorso molto più rapido e il piccolo può aggravarsi nel giro di 2-3 ore. Importante è, quindi, tenere sotto controllo il respiro per vedere se è affannoso o se presenta particolari fischietti o sibili o se, addirittura, diventa accelerato. Solitamente, comunque, la bronchiolite può coinvolgere anche i virus influenzali, parainfluenzali, gli adenovirus e i metapneumovirus. Tuttavia, spiega il pediatra: “il più importante è quello della sinciziale, colpisce circa l’80% dei bambini, seguito dal rinovirus“.
Il pediatra, quindi, può diagnosticare correttamente un caso di bronchiolite attraverso alcuni esami medici, come la radiografia se il bambino presenta sintomi gravi o complicanze respiratorie. Negli episodi lievi, invece, per la diagnosi è sufficiente una visita pediatrica corredata di misurazione della saturazione di ossigeno al dito.
Ma Midulla chiarisce che: “Essendo una malattia virale non esistono farmaci che la possono curare. Ciò che esiste oggi è la prevenzione con due anticorpi monoclonali e un vaccino per le donne in gravidanza. Dal 1998, in Italia e nel mondo, esiste un anticorpo monoclonale, che prima veniva fatto gratuitamente a tutti i prematuri, a tutti i bambini con displasia bronco-polmonare e cardiopatie congenite“.
Quando preoccuparsi?
Il picco per la contrazione del virus e la possibile contrazione della malattia si aggira fra novembre e marzo, ovvero nei mesi più freddi, dove le difese immunitarie sono più deboli. Ma non bisogna allarmarsi subito: nella maggior parte dei casi, infatti, la bronchiolite si risolve da sola in qualche giorno.
Indispensabili soltanto attenzione e cure da parte dei genitori. Per eliminare l’infezione basta adottare qualche accortezza, come ad esempio tenere libero il nasino del bimbo o del neonato con lavaggi e aerosol. Inoltre, anche l’alimentazione e l’idratazione devono essere tenute sotto controllo.
Il ricovero in pronto soccorso non è necessario, a meno che il bambino non presenti, appunto, difficoltà importanti nella respirazione. Per cui è caldamente raccomandato di tenere il piccolo sotto osservazione e verificarne il reale stato di gravità, prima di correre in ospedale, al fine di non ingolfare il DEA e sovraccaricare il lavoro dei medici.
Midulla sottolinea, però, che nei Paesi occidentalizzati la mortalità legata alla bronchiolite è rarissima. E aggiunge che “i pochi decessi nei nostri Paesi colpiscono bambini con grosse problematicità, come prematuri gravi, cardiopatici ecc. Comunque, la bronchiolite è la causa più frequente di ricoveri dei bambini sotto i 12 mesi di età“.
Anticorpo monoclonale contro le bronchioliti: al via la campagna gratuita di “vaccinazione”?
Per arginare l’aumento dei casi di bronchiolite degli ultimi giorni, però, il capo dipartimento della Prevenzione del ministero della Salute, Maria Rosaria Campitiello, ha predisposto l’inizio di una massiccia campagna vaccinale.
Tuttavia non si tratta di un vero vaccino. Il progetto in fase ancora di discussione l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), prevede, infatti, l’iniezione dell’anticorpo monoclonale chiamato Nirsevimab, contro le infezioni respiratorie come il Covid e, appunto, l’influenza. Il Nirsevimab offrirebbe a bambini e neonati anticorpi preformati e garantirebbe, quindi, una immunità solo per un breve periodo.
Questa mattina, 23 settembre 2024, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha ricordato in proposito la riunione con l’Aifa sul tema. Al vertice, si è discusso per “arrivare rapidamente a una risoluzione così che tutti i bambini e tutte le famiglie possano avere accesso. Indipendentemente da dove vivono, all’anticorpo monoclonale” ha concluso il ministro.
Tuttavia, questo anticorpo monoclonale, al momento, è categorizzato in classe C e pertanto a totale carico del singolo cittadino che ne fa richiesta. Sul punto, infatti, Midulla aggiunge:
“Recentemente, dal 2002-2003, l’Ema e l’Aifa hanno approvato un altro anticorpo monoclonale e un vaccino per le donne in gravidanza nell’ultimo trimestre. Sarebbe il caso di valutare il costo-beneficio di tale prodotto. Gli studi su questo anticorpo monoclonale hanno dimostrato che riduce del 90% le ospedalizzazioni e la terapia intensiva nei bambini sotto i 2 mesi di vita. Quello è il gruppo che va curato di più“.