Pochi giorni fa una ragazza di 22 anni ha confessato di aver partorito i due neonati trovati sepolti nel giardino della sua abitazione di Parma. La sua storia ha sconvolto l’opinione pubblica, riportando alla mente molti altri casi di figlicidi. Casi sconvolgenti, angoscianti. Come quello del piccolo Samuele Lorenzi, che all’inizio del 2002 morì per mano della madre Annamaria Franzoni all’età di 3 anni. Per ripercorrerlo dobbiamo tornare indietro nel tempo.
La storia di Annamaria Franzoni e del delitto di Cogne
La morte del piccolo Samuele Lorenzi
Tutto inizia la mattina del 30 gennaio del 2002. Un mercoledì. Sono le 8.28 quando Annamaria Franzoni, 30 anni, telefona al 118 dalla villetta in cui insieme al marito Stefano Lorenzi, proprietario di un’impresa di impianti elettrici, e ai due figli Davide e Samuele vive a Cogne, in Valle d’Aosta e dà l’allarme, spiegando che il figlio minore, di 3 anni, fa fatica a respirare e “vomita sangue”.
Poco prima si era messa in contatto con la pediatra di famiglia, la dottoressa Ada Satragni, che di lì a breve sarebbe arrivata sul posto e che, guardando il piccolo, avrebbe ipotizzato che aveva avuto un aneurisma cerebrale, mettendo in atto tutta una serie di azioni che avrebbero compromesso la scena di quello che si sarebbe scoperto essere un delitto.
Ai soccorritori, una volta arrivati, appare subito chiaro che il bimbo è stato aggredito. Presenta, infatti, una profonda ferita alla testa. Sono le 9.55 quando, nonostante i tentativi di rianimarlo, lo dichiarano morto. L’autopsia eseguita sul suo corpicino stabilisce che è stato colpito per ben 17 volte con un oggetto contundente.
L’arresto di Annamaria Franzoni
I sospetti si concentrano subito sulla madre del bimbo, che 40 giorni dopo il fatto viene iscritta nel registro degli indagati per omicidio volontario. Il 14 marzo la donna viene arrestata. Qualche giorno dopo il tribunale del Riesame ne ordina la scarcerazione, sostenendo che a suo carico, in pratica, non ci siano abbastanza indizi. Gli accertamenti, però, proseguono, e la inchiodano.
Pesano non soltanto le scoperte fatte dagli inquirenti nel corso dei sopralluoghi all’interno della villetta, ma anche alcune intercettazioni a cui, senza saperlo, la donna era stata sottoposta. In una, datata 6 marzo 2002, parlando con un’amica, diceva: “Non so cosa mi è… Non so cosa gli è successo”.
La ricostruzione dell’accusa e la condanna
Secondo la ricostruzione finale dell’accusa, l’omicidio del piccolo Samuele sarebbe stato commesso da Annamaria Franzoni prima che la stessa, la mattina del 30 gennaio del 2002, uscisse per accompagnare l’altro figlio alla fermata del bus, distante circa 8 minuti a piedi da casa sua.
Ad incastrarla, in particolare, le tracce di sangue e i frammenti di materiale osseo rinvenuti sia sul suo pigiama, trovato nascosto tra le coperte della sua camera da letto, sia sulle sue ciabatte. Il 19 luglio del 2004, al termine del processo di primo grado, svoltosi con rito abbreviato, la donna viene condannata a 30 anni di reclusione.
La sua difesa aveva cercato di dimostrare, inutilmente, che a compiere il delitto fosse stato qualcun altro. Qualcuno che, dopo essersi intrufolato nell’abitazione dei Lorenzi approfittando dell’assenza di Franzoni, uscita col figlio, si era scagliato contro il piccolo per poi dileguarsi, senza lasciare tracce o essere visto dai vicini. Senza aver sottratto nulla.
Il 27 aprile del 2008 i giudici di secondo grado abbassano la pena a 16 anni, riconoscendole le attenuanti generiche. Sentenza che diventa definitiva il 21 maggio del 2008.
Il ritorno in libertà
Nel 2014 è stata scarcerata e messa ai domiciliari dopo che una perizia ha escluso il pericolo di una recidiva. Già da tempo, a quel punto, lavorava all’esterno del carcere, beneficiando di permessi premio. Dal 2018 è tornata definitivamente libera, stabilendosi, insieme al marito e ai figli Davide e Gioele (avuto nel 2003) in Emilia.
Dei 16 anni che le sono stati riconosciuti ne ha scontati 11. Non ha mai smesso di proclamarsi innocente. Semplicemente, secondo gli esperti che negli anni l’hanno visitata, non ricorda quanto accaduto. Quando agì era in uno “stato crepuscolare orientato”, una sorta di sospensione della coscienza, di trance, di dormiveglia.
Significa che uccise il figlio, che forse piangeva per un capriccio, e che poi dimenticò tutto. Ne ha parlato Fabio Camillacci in una puntata di “Crimini e criminologia”, in onda tutti i giorni dalle 19 alle 20 in radiovisione su Radio Cusano Campus e Cusano Italia TV (canale 122 del digitale terrestre).