Il giudice per le indagini preliminari di Venezia ha disposto l’archiviazione del procedimento che vedeva indagata per frode processuale e depistaggio la pm Letizia Ruggeri, che seguì il caso di Yara Gambirasio, scomparsa in provincia di Bergamo nel 2010. Ecco cosa è successo.

Caso Yara, archiviate le indagini a carico della pm Letizia Ruggeri: ecco di che cosa era accusata e perché

La denuncia a carico della pm Letizia Ruggeri era stata presentata nel 2022 dai legali che rappresentano la difesa di Massimo Bossetti, che nel 2018 è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra.

La magistrata era accusata, in particolare, di frode processuale e depistaggio. Il motivo? Secondo la difesa dell’ex muratore di Mapello non gestì correttamente la conservazione delle 54 provette contenenti il Dna attribuito a “Ignoto 1“, che furono trasportate dall’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo.

Un cambiamento che, secondo gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, avrebbe interrotto la catena del freddo, compromettendo i reperti e di conseguenza la possibilità di ulteriori analisi, essenziali per chiedere la revisione del processo nei confronti del loro assistito, che si è sempre proclamato innocente (e fu incastrato, appunto, dal test del Dna).

La decisione del gip

La pm si è sempre difesa sostenendo che le provette in questione contenessero soltanto “l’estratto più scadente del Dna” e che il resto del materiale fosse già stato consumato nel corso delle indagini preliminari. Il gip di Venezia, che lo scorso luglio si era riservato di decidere sulla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura (a cui la difesa di Bossetti si era opposta), sembra ora averle dato ragione.

Stando a quanto riporta Il Messaggero, avrebbe stabilito, infatti, che la sua decisione di spostare i reperti

non è affatto un comportamento illegittimo o anomalo o deviante tale da far dedurre che fosse stato mosso da finalità diverse e illecite.

Significa, in sostanza, che, quando la pm diede l’ok al cambio di destinazione delle provette – autorizzandone il trasferimento a Bergamo – non lo fece con secondi fini (ossia per “distruggere” l’unica prova a disposizione di Bossetti per chiedere una riapertura del caso), bensì perché, sulla base delle sentenze emesse nei confronti dell’ex muratore (primo secondo e terzo grado),

si era formata il preciso convincimento, più volte ribadito, che le eventuali nuove analisi sul Dna mitocondriale non avrebbero comunque potuto mettere in discussione l’individuazione certa del Bossetti avvenuta sulla base del Dna nucleare.

Le prove raccolte contro Bossetti

Sulla questione è tornata, di recente, anche la serie tv NetflixIl caso Yara“, che in molti hanno definito “innocentista” perché particolarmente incentrata sul punto di vista del condannato e della sua difesa. Ma si tratta di una questione che, in realtà, accende da anni il dibattito pubblico.

Bossetti è finito in carcere perché le analisi genetiche hanno stabilito che le tracce rinvenute sugli slip e sui leggins di Yara erano sue, ma non ha mai avuto la possibilità di rianalizzarle (e provare a dimostrare la sua presunta innocenza).

D’altro canto, non fu solo il test del Dna ad incastrarlo. Il suo telefono, il giorno in cui la ragazzina sparì, agganciò una cella compatibile al luogo in cui era stata avvistata per l’ultima volta, una palestra di Brembate; nella stessa data il suo furgone bianco fu visto aggirarsi in zona.

Secondo la ricostruzione ufficiale, la rapì e poi la uccise, abbandonandone il corpo nel campo di Chignolo d’Isola in cui sarebbe stato ritrovato, praticamente per caso, solo tre mesi dopo la denuncia di scomparsa presentata dai suoi familiari. Lui però si dice vittima di un errore giudiziario.