Sta facendo molto discutere una recente proposta del ministro della Funzione Pubblica, Paolo Zangrillo, di valutare la possibilità di eliminare il tetto massimo di 240mila euro per gli stipendi dei manager pubblici.
Tra le principiali osservazioni mosse alla proposta del ministro di Forza Italia ci sarebbero le condizioni salariali della maggior parte dei lavoratori italiani, pubblici e privati, alle prese con stipendi tra i più bassi d’Europa (dati Ocse), con il cronico problema dei ritardi nei rinnovi dei contratti di lavoro collettivi e soprattutto con la mancanza di una adeguata legislazione sul salario minimo che vada a contrastare il dilagare del lavoro povero in Italia.
I dati Ocse: in Italia stipendi tra i più ‘poveri’ d’Europa
Ma gli stipendi italiani sono davvero così bassi rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea? Una fotografia della situazione relativa alle retribuzioni in Italia arriva dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo europeo) che, nell’ultimo report annuale (2023) sui salari medi annui, posiziona l’Italia al 21esimo posto sui 34 Paesi che fanno parte dell’organizzazione, con poco più di 45mila euro annui.
L’Ocse ha registrato nel 2023 un aumento – rispetto al 2022 – dell’1,8%, un trend positivo ma che comunque non avvicina di molto l’Italia ai primi posti della classifica, occupata da Islanda, Lussemburgo e Stati Uniti.
Un altro dato importante da rilevare e il cosiddetto pay gap tra le diverse mansioni, con notevoli differenze tra operai e Ceo. Dai dati del JP Salary Outlook, un report semestrale dell’Osservatorio JobPricing, emerge che i Ceo hanno uno stipendio nove volte superiore a quello di un operaio. C’è da rilevare, però, che nel 2023 gli operai hanno registrato l’aumento di Ral (retribuzione annua lorda) più significativo. Una magra consolazione.
Potere acquisto lavoratori, Italia terzultima per i salari reali
Ebbene sì, soprattutto se la si legge a confronto con i dati del Employment Outlook 2024 dell’Ocse sui salari reali, ovvero, la quantità di beni che il lavoratore può acquistare con il salario ricevuto. In questo caso, i dati per il nostro Paese sono impietosi, maglia nera e terzultimo posto della classifica. Peggio di noi solo Svezia e Repubblica Ceca.
L’Italia ha registrato un calo del 6,9% rispetto al 2019, ma il dato più allarmante è quello della stagnazione dei salari reali che, tra il 1991 e il 2023, è aumentata solo dell’1% a fronte del 32,5% dei paesi dell’Ocse. In pratica, in 32 anni il potere di acquisto dei lavoratori italiani è aumentato solo dell’1%.
“L’Italia è il Paese che ha visto il calo maggiore dei salari reali tra le maggiori economie OCSE. All’inizio del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a poco prima della pandemia.”
Si legge nella nota dedicata alla nostra nazione del sopracitato rapporto sulle “Prospettive occupazionali Ocse 2024”. Nota che sottolinea anche come tale situazione si inserisce in un quadro di relativo aumento dell’occupazione nel nostro paese.
Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Ce lo dice sempre l’Ocse.
“Nel complesso, si prevede che la crescita dei salari reali rimarrà contenuta nei prossimi due anni. Si prevede che i salari nominali (compenso per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025. Sebbene questi aumenti siano significativamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri paesi OCSE, consentiranno ai lavoratori italiani di recuperare parte del potere d’acquisto perduto, poiché si prevede che l’inflazione sarà dell’1,1% nel 2024 e del 2% nel 2025.”
Stipendi manager pubblici? Zangrillo: “Provare a dire addio al tetto dei 240mila euro”
Questo è il contesto in cui si inserisce la proposta del Ministro della Funzione Pubblica, Paolo Zangrillo, che in una recente intervista ha dichiarato di ritenere necessaria l’eliminazione del tetto di 240mila euro annui per gli stipendi dei manager pubblici per “riuscire a portare anche ai vertici della pubblica amministrazione italiana ‘i migliori”.
“Provare a dire addio al tetto dei 240.000 euro è un ragionamento che prima o poi andrà fatto, se l’obiettivo è quello di reclutare i migliori. Anche nel pubblico, come nel privato, le posizioni apicali comportano grandi responsabilità e, per ricoprirle, servono competenze specialistiche e capacità manageriali. Puntare a una classe dirigente con queste caratteristiche, significa uscire dai recinti ideologici e guardare al pubblico come al privato”.
Non è la prima volta che si tenta di eliminare il vincolo economico introdotto nel 2011 dal Governo Monti con il decreto “Salva Italia” e poi ampliato nel 2014 dal Governo Renzi. Nel settembre 2022 si provò a inserirlo nel decreto Aiuti-bis con un emendamento approvato al Senato, ma l’allora esecutivo Draghi sventò il blitz con un emendamento governativo che annullò quello approvato a Palazzo Madama. Lo scorso anno si tentò di inserire nel Dl Asset una misura per escludere dal vincolo i professionisti impiegati per i lavori sul Ponte di Messina, ma anche in quel caso non se ne fece nulla.
Scotto (Pd): “Zangrillo fa parte della stessa combriccola di Governo che ha negato il salario minimo”
Dagli alleati di Governo – a cui Zangrillo ha dichiarato di non aver ancora illustrato la proposta – non sono arrivate repliche, mentre non si sono fatte attendere quelle dell’opposizione.
Il deputato del Pd Arturo Scotto ha dichiarato in un post sui suoi profili social:
“Il ministro della P.A. vuole togliere tetto di 240000 euro annui agli stipendi dei manager pubblici, ma non trova soldi per rinnovo Contratto. Zangrillo fa parte della stessa combriccola di Governo che ha negato il salario minimo. E’ immorale chiedere i sacrifici sempre agli stessi. “
Il ministro della P.A. vuole togliere tetto di 240000 euro annui agli stipendi dei manager pubblici, ma non trova soldi per rinnovo Contratto. Zangrillo fa parte della stessa combriccola di Governo che ha negato #salariominimo. E’ immorale chiedere i sacrifici sempre agli stessi.
— Arturo Scotto (@Arturo_Scotto) September 15, 2024