L’attore svedese trentatreenne Niclas Larsson lo scorso 29 agosto ha presentato al cinema la sua prima opera da regista, intitolata “Divano di Famiglia”. Con Ewan McGregor nella parte del protagonista, questa commedia dell’assurdo tratta dal romanzo “Mamma i Soffa” dello scrittore Jerker Virdborg, anch’esso svedese, affronta l’intricato attaccamento emotivo di un figlio adulto alla propria madre incapace di provare affetto materno.

“Divano di Famiglia”, recensione

David (Ewan McGregor) ha 48 anni e sembra essere sull’orlo di un esaurimento nervoso. Per quanto non voglia ammetterlo, il suo matrimonio è vicino al collasso; la moglie Anne (Lake Bell) è sempre più lieta di passare del tempo insieme al papà di una compagna di scuola di loro figlia Bree (Penelope Young). Neanche il resto della sua vita pare andare un granché bene: è l’unico a prendersi cura di sua madre ormai anziana, suo fratello Gruffudd (Rhys Ifans) e sua sorella Linda (Lara Flynn Boyle) se ne lavano continuamente le mani. Fino ad oggi, quando tutti e tre verranno costretti a riunirsi presso un emporio di mobili usati, disperso in aperta campagna.

Sì, perché la mamma (Ellen Burstyn) si è piazzata su un vecchio divano verde e non vuole più alzarsi. Forse colpa dei suoi ottantadue anni che caratterialmente la rendono di nuovo bambina, ma non c’è proprio verso di farla ragionare. Non vuole comprarlo, vuole semplicemente restarsene lì seduta in mezzo a decine di oggetti antichi, circondata dalla polvere. E se Gruffudd banalizza il problema perdendosi in chiacchiere con Bella (Taylor Russell), la giovane e attraente figlia del proprietario del negozio che lavora lì come commessa, e Linda insiste nel voler chiamare un’ambulanza per scaricare il problema a qualcun’altro, David tenta, ancora una volta, di gestire la situazione con pazienza come è solito fare. Del resto è lui che quotidianamente si prende cura di sua mamma, restandole fedele come un segugio da compagnia. Forse è esattamente per questo che la sua esistenza sta rapidamente scivolando in una pozza stagnante, come risucchiato da un vortice fangoso, perché non è in grado di tagliare di netto un cordone ombelicale ormai lacero. Non vuole ammettere lucidamente di essere succube di una figura materna egoista e meschina, che lo sta consumando come una tenia.

Quella donna, all’apparenza così gracile, è in realtà una persona algida e incapace di grosse dimostrazioni d’affetto. Non le è mai piaciuto fare la madre e anche per questo ha tenuto i tre fratelli separati sin da piccini, volendo vicino a sé soltanto David, ma solo come una sorta di bastone a cui aggrapparsi. Che non sia questa l’occasione giusta per lasciarla andare via, ricucendo il rapporto coi suoi fratelli?

“Divano di Famiglia”, critica

Presentata in anteprima mondiale al Toronto Film Festival lo scorso 9 settembre 2023, “Divano di Famiglia” è l’opera prima del regista Niclas Larsson tratta dal romanzo “Mamma i Soffa” dello scrittore Jerker Virdborg. Troviamo uno splendido Ewan McGregor nel ruolo del protagonista David, dove tutta la sua vita sembra improvvisamente ruotare intorno a quel divano usato dal quale la madre non vuole più alzarsi. Il film comincia come una commedia dell’assurdo, geniale e divertente, sviluppandosi a ritmo incalzante verso una trama sempre più fitta, addentrandosi nella drammaticità di un rapporto di dipendenza tra mamma e figlio. Proprio per questo, più va avanti più la pellicola precipita in una disturbata realtà quasi onirica, come fosse un incubo o una sorta di allucinazione psicotica. Ma, oltre alla necessità viscerale di rimanere attaccati alla propria madre, la storia ci palesa anche il tanto evitato argomento della mancanza di istinto materno in una donna che pur essendo genitore, non avrebbe mai voluto esserlo.

Ho molto apprezzato la fotografia, le riprese e le immagini di tutto il film, oltre che le ovvie interpretazioni di spessore. Purtroppo però sul finale si perde in un delirio che dovrebbe incarnare la metafora del taglio definitivo del cordone ombelicale attraverso la morte, ma che in verità ti lascia con dei grossi punti di domanda e un grande senso di smarrimento. Sicuramente non è una narrazione con dei confini netti, ben ancorati nel realismo o in uno spazio temporale chiaramente definito, ma è piuttosto un viaggio all’interno di un subconscio sofferente, soffocato da traumi mai affrontati. Per questo motivo, non essendo un amante del genere, non ho potuto goderne fino in fondo. Peccato davvero, perché avrebbe potuto essere un grandissimo film; divertente, folle, visionario. Tre stelle e mezzo su cinque.