Premiato come miglior film nella sezione Orizzonti dell’80ª edizione del Festival di Venezia, “Paradise is Burning” è il primo lungometraggio per la regista trentaseienne svedese Mika Gustafson. Uscito lo scorso 29 agosto nelle principali sale italiane, questa storia drammatica ci mostra la vita di tre sorelle minorenni abbandonate a loro stesse dalla propria madre assente.
“Paradise is Burning”, recensione
È quasi estate e l’aria fresca di giugno apre le porte della bella stagione ormai imminente. Le giornate cominciano a farsi sempre più lunghe e il clima soleggiato porta con sé una certa allegria irresistibile. Davanti a un prato verde brillante in un quartiere operaio della periferia svedese c’è una baracca piccina e disordinata. Laura (Bianca Delbravo) e le sue sorelle vivono lì dentro da tutta la vita. La madre, da sempre assente, è scappata via a dicembre scorso e da ormai sei mesi non dà più sue notizie. Del padre non si sa nulla; non una foto in casa, mai un cenno a riguardo. E così Laura si ritrova, ad appena sedici anni, a prendersi cura da sola di Mira (Dilvin Asaad) e Steffi (Safira Mossberg) facendo forzatamente la mamma, senza averne le capacità. Non lavora, spesso salta la scuola, ma si assicura che le sue sorelle ci vadano ogni giorno. E con una manciata di spicci a disposizione si ingegna in ogni modo per sfamarle, lavarle e fargli avere l’essenziale, rubacchiando qui e là.
Mira ha dodici anni, ma esteticamente sembra più grande e si atteggia come fosse già una donna adulta. Ha un carattere dominante e caparbio e spesso si perde nel tipico egoismo infantile, che non le fa vedere chiaramente quanto Laura annaspi quotidianamente, tentando a fatica di far restare tutte e tre a galla. Steffi ha soli sette anni: è impulsiva, pasticciona e un po’ goffa. Come un piccolo branco di animali selvaggi stanno crescendo abbandonate a loro stesse, ma in quel caos invivibile hanno trovato un loro equilibrio e nella disperazione si illudono di essere felici. Al punto tale che quando Laura riceverà una telefonata dagli assistenti sociali per fissare un incontro con la madre, che potrebbe di fatto essere una via di salvezza per uscire dal pantano nel quale sono irrimediabilmente sprofondate, sarà per lei motivo di terrore e ansia. Esattamente come una mamma ha paura che “gliele portino via” e proprio per questo non dirà nulla a nessuno, tenendo il segreto per sé e illudendosi che quella data non arriverà mai.
Casualmente farà amicizia con una donna più grande, Hanna (Ida Engvoll), trasferitasi in una villetta non distante da casa sua. Rapidamente stringeranno un legame dietro il quale si celerà una forte ambiguità e un certo desiderio sessuale, tenuto inespresso. Tant’è che Hanna nasconderà a Laura di avere un marito e una figlia piccola e a lui nasconderà la sua nuova amicizia. Passeranno insieme dei lunghi pomeriggi a introdursi furtivamente in casa di sconosciuti momentaneamente assenti, per frugare tra le loro cose e scoprire i loro segreti. Fumeranno e berranno come fossero coetanee. La personalità di Hanna, che all’apparenza sembra normale, è in realtà molto equivoca, fredda, egoista e anche un po’ immatura, che scappa dalle sue responsabilità di genitore per stringere un’amicizia bizzarra e inappropriata con una minorenne confusa e bisognosa di attenzioni materne. Quindi Hanna, in qualche maniera, rappresenterà un po’ il modello genitoriale che Laura ha dovuto subire sin da bambina.
“Paradise is Burning”, critica
Primo lungometraggio per la regista svedese Mika Gustafson che col suo “Paradise is Burning”, uscito nelle sale italiane lo scorso 29 agosto, ha vinto il premio come miglior film nella sezione Orizzonti dell’80ª edizione del Festival di Venezia. La sceneggiatura, scritta dalla stessa regista insieme all’attore e sceneggiatore Alexander Öhrstrand, esplora l’universo dei minori abbandonati costretti a vivere in situazioni di precarietà. In maniera indiretta accusa e pone l’attenzione anche sulla noncuranza generale nei confronti dei figli non propri e della fallibilità dell’assistenza sociale, spesso disattenta e inefficace. Ma è anche una condanna nei riguardi del sistema scolastico ed educativo, che evidentemente ha fallito. Personalmente ho trovato che questo film, nel tentativo di mostrare la realtà più cruda a tutti costi, finisca col mancare proprio di realismo. Alcune situazioni sono chiaramente poco plausibili e l’intera storia viene affrontata in maniera meno drammatica di quel che dovrebbe. Ma nel complesso la reputo una buona pellicola che in verità viene, forse involontariamente, narrata dal punto di vista della coprotagonista Laura, appena sedicenne, scivolando a causa di ciò in una visione un po’ illusoria e improbabile, tipica dell’adolescenza. Tre stelle su cinque.