Il primo maggio del 2022 uccise la sorella Alice a Quinto, Genova: Alberto Scagni, 42 anni, è stato giudicato “seminfermo di mente” e condannato sia in primo che in secondo grado a 24 anni e 6 mesi di carcere (anziché all’ergastolo, come la Procura aveva chiesto). I legali sono pronti ora a una nuova battaglia: ritengono che non sussista l’aggravante della premeditazione e hanno presentato ricorso in Cassazione.

Cosa ha fatto Alberto Scagni? La ricostruzione, dall’omicidio alla condanna

Quando uccise la sorella, nel 2022, Alberto Scagni era già stato segnalato alle autorità per la sua pericolosità: da tempo affetto da disturbi psichici, dava infatti sempre più problemi ai familiari che, spaventati, avevano quindi chiesto alla Asl locale di aiutarlo, curarlo.

Sapevano che avrebbe potuto fare qualcosa di grave, se lo sentivano. Del resto aveva già dato fuoco alla porta dell’appartamento della nonna, arrivando a minacciare i genitori e la sorella perché si erano rifiutati di accordargli l’ennesimo prestito (dopo che lui aveva speso circa 15 mila euro in tre mesi).

Il primo maggio, qualche ora prima dell’omicidio, chiamò il padre e gli disse: “Fra cinque minuti controllo il conto, se non ho i soldi stasera tua figlia e Gianluca (il marito, ndr) sai dove sono?”. L’uomo, allarmato, si mise in contatto con la polizia, chiedendo l’intervento di una volante sotto casa della figlia.

L’inchiesta sulle presunte omissioni da parte di due agenti e della dottoressa della Salute Mentale Asl 3 – aperta dopo la presentazione di un esposto da parte dei legali della famiglia – è stata archiviata. Fatto sta che, come gli Scagni avevano previsto, quella sera Alberto uccise Alice, che era scesa per portare fuori il cane mentre il figlio era in casa con il papà.

Perché la decisione di ricorrere in Cassazione?

La Procura aveva chiesto che il 42enne fosse condannato all’ergastolo, contestandogli, oltre all’aggravante del vincolo di parentela, anche quelle della crudeltà, del mezzo insidioso (per aver nascosto l’arma del delitto in un sacchetto di plastica, non rendendola immediatamente visibile alla vittima) e della premeditazione.

Sia i giudici di primo che di secondo grado lo hanno condannato, alla fine, a 24 anni e 6 mesi di reclusione. Le uniche aggravanti che gli hanno riconosciuto sono quelle del vincolo di parentela e della premeditazione, perché, secondo le ricostruzioni, aggredì a morte la sorella dopo averla aspettata per ore sotto casa.

Ricostruzioni che i legali che lo assistono, gli avvocati Mirko Bettoli e Alberto Caselli Lapeschi, contestano: secondo loro, infatti, il vizio parziale di mente riconosciuto al 42enne non sarebbe compatibile con l’ipotesi che programmò l’omicidio. L’udienza in cui se ne dovrà discutere è stata fissata per l’8 ottobre prossimo.

Se la Cassazione dovesse decidere di accogliere il ricorso, rinviando gli atti del procedimento alla Corte d’Assise d’Appello, l’aggravante potrebbe cadere e Scagni potrebbe avere accesso al rito abbreviato (che aveva richiesto, ma che non gli fu concesso perché a rischio ergastolo), beneficiando del relativo sconto di un terzo della pena. La condanna, a quel punto, potrebbe scendere a 16 anni. Lo rende noto Rai News.

Come sta Alberto Scagni? Le condizioni in carcere

L’uomo è recluso a Torino, dove è stato trasferito in seguito ai pestaggi subiti sia a Genova che a Sanremo da parte di altri detenuti, di cui uno particolarmente brutale, che l’ha costretto per diverse settimane al ricovero. Ne avevamo parlato con uno dei suoi avvocati mentre il 42enne era ancora in coma farmacologico: ecco cosa ci aveva detto.