In specifici casi non si applica l’imposta del 26% sulla plusvalenza realizzata sulla vendita della casa, già oggetto di lavori di riqualificazione e di efficientamento energetico agevolati dal superbonus. Si prenda, ad esempio, il caso di un committente che abbia fruito dell’ex bonus 110% per interventi sulla prima casa, già residenza da diversi anni.
Nel caso in cui la vendita dell’immobile riguardi l’abitazione principale, il prezzo di vendita rappresenta quello finito, senza il dover applicare la tassazione del 26% sulla plusvalenza realizzata dalla vendita di un immobile migliorato proprio grazie ai lavori del superbonus.
Plusvalenza superbonus imposta vendita dopo i lavori: di cosa si tratta?
Il concetto di “plusvalenza” del superbonus in caso di vendita si ricava proprio dal maggior prezzo al quale si riesce a vendere l’abitazione proprio grazie ai lavori di riqualificazione e di miglioramento energetico effettuati e agevolati dall’ex bonus 110%. Si precisa che solo gli immobili non prime case sono soggette all’imposta del 26%. Le abitazioni principali, dunque, restano fuori dalla tassazione che si applica non sul prezzo di vendita, ma sulla plusvalenza realizzata.
In linea di massima, la plusvalenza si ricava dal prezzo al quale si vende l’abitazione migliorata dai lavori del superbonus rispetto al prezzo che si sarebbe realizzato senza i lavori del massimo degli incentivi. A tal proposito, si precisa che la tassazione opera solo per gli immobili il cui valore sia accresciuto grazie al solo superbonus ai sensi dell’articolo 119 del decreto legge 34 del 2020. Immobili ristrutturati grazie ad altri bonus edilizi rimangono fuori dalla tassazione.
La nuova fattispecie di tassazione applica quanto si prevede alla lettera b) bis, dell’articolo 67, del decreto del Presidente della Repubblica 917 del 1986 (Testo unico delle imposte sui redditi – Tuir).
Che cos’è la plusvalenza del superbonus e come si calcola?
La tassazione del 26% sulla plusvalenza realizzata in caso di vendita di un immobile non prima casa sul quale, nei 10 anni precedenti, siano stati effettuati e siano terminati lavori agevolati dal superbonus è stata introdotta dalla legge di Bilancio 2024. Il comma 64, dell’articolo 1, della legge 213 del 2023 stabilisce, infatti, che è assoggettata a Irpef la plusvalenza, ovvero la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto, incrementato dai costi riguardante “il bene medesimo”, compresi quelli oggetto di interventi per il superbonus 110%.
La plusvalenza, dunque, incrementa la base imponibile sulla quale applicare l’Irpef da tassare in sede di dichiarazione dei redditi effettuata annualmente. In alternativa, il 26% di imposta può essere anche affrancata pagando al notaio, incaricato della stipula del contratto di compravendita dell’immobile, l’imposta sostitutiva di pari aliquota (26%) da applicare alla plusvalenza realizzata.
Prima casa, eredità e donazione: si paga il 26%?
La prima casa non è l’unica tipologia di immobile che risulta esente dall’applicazione del 26% di tassazione sulla plusvalenza. Anche chi vende un immobile ricevuto in eredità, già oggetto di lavori agevolati dal superbonus, non rientra tra gli obbligati alla tassazione. Peraltro, non rileva se i lavori di efficientamento energetico o di ristrutturazione sono stati effettuati dal defunto o da chi abbia ereditato la casa.
Come non pagare imposta plusvalenza superbonus?
Diverso è il caso di chi riceve un immobile per donazione. La tassazione del 26% si applica alla plusvalenza se il beneficiario della donazione abbia ricevuto l’immobile sul quale il donatario – ma non il donante – abbia effettuato lavori agevolati dal superbonus.
Ulteriore caso di non applicazione della tassazione sulla plusvalenza riguarda la vendita di una casa principale, adibita come tale dal cedente (o dai suoi familiari, come coniuge, parenti entro il III grado o affini entro il II grado) per la maggior parte dei dieci anni precedenti la vendita. Infine, si ricorda che la tassazione opera solo per interventi arrivati a chiusura cantiere.