“Ho avuto un raptus improvviso. Non so spiegare perché sia successo, l’ho vista e l’ho uccisa”. Con queste parole Moussa Sangare ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni, consumatosi a Terno d’Isola nella notte tra il 29 e il 30 luglio scorso. A portare a lui, la segnalazione fatta agli inquirenti da due testimoni: ecco chi sono e cosa hanno raccontato.

Chi sono i due testimoni che hanno incastrato Moussa Sangare, reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni

Una telecamera di videosorveglianza lo aveva ripreso mentre, in sella alla sua bici, percorreva in contromano, ad alta velocità, la stessa via in cui Sharon è stata uccisa, via Castegnate, qualche minuto dopo l’omicidio. Si pensava che potesse essere il testimone chiave, che avesse visto l’aggressione e avesse però deciso di non proferirne parola, per paura: era lui, in realtà, il killer.

Nella notte tra il 29 e il 30 agosto, a un mese esatto dal delitto, i carabinieri hanno fermato Moussa Sangare con l’accusa di omicidio e lui, interrogato, ha confessato. Decisivo il contributo di due cittadini italiani di origini marocchine che hanno 23 e 25 anni. Questo il racconto di uno di loro a La Repubblica:

Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima.

Si trattava del 31enne fermato. Convocati in caserma (perché a loro volta ripresi da alcune telecamere), i due ne avrebbero parlato con gli inquirenti, che si sarebbero quindi messi alla ricerca di un uomo che per stazza, capigliatura e vestiario potesse somigliargli. Così la svolta.

Ci sentiamo orgogliosi per essere stati utili all’identificazione dell’assassino – dicono ora -. Il rimpianto che ci resta è non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti.

La ricostruzione del delitto

Parlando con i giornalisti dopo l’arresto del presunto assassino della 33enne, la procuratrice aggiunta di Bergamo Maria Cristina Rota ha dichiarato che la vittima si trovava “nel posto sbagliato al momento sbagliato”: Moussa Sangare, già indagato per maltrattamenti in famiglia, l’avrebbe presa di mira senza motivo, dopo aver minacciato, con uno dei coltelli che aveva portato con sé, due ragazzini attorno ai 15 o 16 anni mai ascoltati dagli inquirenti.

Se avessero denunciato subito l’accaduto, forse il 31enne sarebbe stato trovato prima. Una volta trasferito in caserma, ha comunque ammesso le proprie responsabilità, indicando il luogo in cui si è disfatto dell’arma del delitto. All’interno della casa che aveva occupato è stata trovata una sagoma di cartone per esercitarsi a lanciare coltelli. È nato a Milano, ma sarebbe originario di Mali.

Come rapper ha collaborato con diversi artisti italiani, Ernia e Izi tra gli altri. Poi, secondo alcuni vicini di casa, sarebbe andato in America, tornando “diverso”. “Si faceva qua, si faceva in piazza. Avevo l’intuizione che prima o poi sarebbe successo qualcosa”, dice qualcuno. “Aveva già dato fuoco alla casa e menato alla sorella”, aggiunge qualcun altro. L’avvocato che lo difende, Giacomo Maj, ha parlato di “possibili problemi psichiatrici“. Qui tutta la storia.