Zoë Kravitz, figlia unica del noto cantante Lenny Kravitz, debutta al cinema come regista col film “Blink Twice”, un horror di female revenge. Uscito nelle sale italiane lo scorso 22 agosto, troviamo Channing Tatum, compagno della regista, nel ruolo dell’antagonista.

“Blink Twice”, recensione

Frida (Naomi Ackie) ha circa trent’anni e ancora non ha capito cos’è che vuole fare della sua vita. Lavora come cameriera insieme alla sua amica e coinquilina Jess (Alia Shawkat) e nel tempo libero fa manicure dipingendo le unghie a tema animalier. “Animalunghie”, così ha chiamato la sua pagina Instagram nella quale pubblica foto dei suoi lavori; disegna dei piccoli animali colorati, tutti diversi, rendendo ogni mano unica e indimenticabile. Ma per il resto, nonostante la sua età, non sembra proprio aver deciso, o anche lontanamente immaginato, che direzione debba prendere la sua esistenza. Non pare avere un’idea chiara, né aver ipotizzato una possibile carriera lavorativa da perseguire. Frida, inconsapevolmente, rappresenta buona parte dei ragazzi nati negli anni ’90. È come se quella generazione fosse rimasta impantanata, braccata, in un vicolo cieco paralizzata dalle proprie paure e dall’incapacità di pianificare il futuro. Schiacciati tra aspettative troppo ambiziose da un lato e dal realismo spietato dall’altro, è come se molti trentenni fossero divenuti totalmente incapaci di muoversi per rincorrere un qualunque obiettivo anche minimo, per il terrore che nulla si realizzi, divenendo poi di fatto le comparse della loro stessa vita.

E anche Frida, fra questi, è appiattita da una noia inesorabile senza rendersi conto che il motivo di quella angosciante routine che la affligge è il non porsi dei traguardi. Ma spesso fantastica guardando i video pubblicati da Slater King (Channing Tatum), un magnate della tecnologia multimilionario in passato condannato per mobbing all’interno della sua azienda che ha deciso di ritrovare se stesso, abbandonando tutto e comprandosi un’isola nella quale vivere lontano dal resto del mondo. Ne è profondamente ammaliata, un po’ come una bimba che sogna davanti a un poster del suo cantante preferito. Proprio per questo quando dovrà lavorare nel catering a un evento organizzato per King, si intrufolerà imbucandosi alla festa insieme a Jess cercando di conoscerlo. I due finiranno davvero col notarsi l’un l’altro ritrovandosi a chiacchierare fino a notte fonda. E alle prime luci dell’alba Slater inviterà lei e Jess a passare un po’ di tempo in vacanza sulla sua isola, insieme ad altri amici.

Senza pensarci due volte accetteranno, cercando goffamente di mascherare l’entusiasmo scoppiettante come due ragazzine che vanno ancora alla scuola media. Quella vacanza sarà, per entrambe, un’esperienza incredibilmente bella e sorprendente, fatta eccezione che ogni mattina non riusciranno a ricordare che cosa è accaduto nella notte precedente. Come se, inspiegabilmente, perdessero interi pezzi della loro coscienza. Rapidamente, giornata dopo giornata, le cose inizieranno a diventare spaventosamente troppo allegre. Cosa si nasconde dietro quella meravigliosa isola dispersa nel nulla?

“Blink Twice”, critica

Primo film alla regia per la splendida Zoë Kravitz, figlia unica di Lenny Kravitz, che debutta al cinema con una disturbante ed entusiasmante pellicola thriller/horror chiamata “Blink Twice”. Sceneggiatura scritta a quattro mani dalla stessa Zoë Kravitz insieme a E.T. Feigenbaum, potrebbe banalmente sembrare una storia di semplice intrattenimento cinematografico. Ma già dai primi minuti del film capisci che questa è una narrazione che ha qualcosa da raccontare, che devi soltanto sederti a guardare lasciandoti trascinare dal flusso incalzante e spiccatamente inquietante che ti condurrà, rapido, al cuore della trama in un finale spesso e violento.

Fotografia di Adam Newport-Berra, quasi tutte le immagini sono un’esaltante esperienza visiva: la maggior parte di esse si caratterizza con tinte vibranti, accese, prepotenti. I contrasti netti dai colori brillanti, l’architettura delle strutture presenti nel film e le ambientazioni dalla natura esotica rimandano inevitabilmente alle pitture di Frida Kahlo, con la quale la protagonista condivide anche il nome. Musiche scelte da Chanda Dancy, la colonna sonora si concentra principalmente su James Brown e altre sonorità black spaziando tra gli anni ’50 e 70’, ma con qualche eccezione più recente come ad esempio il brano “I’M THAT GIRL” della cantante Beyoncé.

Questo è un lungometraggio che ti tiene costantemente teso, non facendoti perdere l’attenzione neanche un attimo. Alcune cose mi hanno ricordato “Get Out”, l’inquietante horror del regista Jordan Peele, soprattutto i primi piani del volto di Naomi Ackie in una delle ultime scene. Non tutto è originale, ma non è questo il punto: è un film forte, che parla a un dolore che solo le donne possono capire e sentire fino in fondo. Parla di una rabbia nostra, implacabile, nella quale gli uomini non c’entrano e non devono entrarci. Mi ha talmente entusiasmata che sono uscita dal cinema totalmente elettrizzata ed euforica. Proprio per questo assegno al primo capolavoro dell’orrore di Zoë Kravitz cinque stelle su cinque.