L’arresto del Signor Telegram ha sollevato tante discussioni perché per la prima volta nella storia delle nuove tecnologie di comunicazione il proprietario di una piattaforma è chiamato a rispondere dei mancati controlli sui reati commessi da chi la utilizza. Pavel Durov, fermato a Parigi appena arrivato con il suo aereo personale, ha suscitato la protesta di Elon Musk e anche quella di Matteo Salvini. Tra le opinioni che ho ascoltato e letto condivido quella scritta da Vittorio Sabadin sul quotidiano “Il Messaggero”: “Forse dovremmo smetterla di provare ammirazione per personaggi del genere solo perché sono stati bravi a diventare molto ricchi”. 

L’arresto del Signor Telegram e il senso di responsabilità che è mancato

Durov ora è sotto accusa perché attraverso Telegram molti malfattori hanno fatto i loro comodi, eppure per “Fortune” era tra i migliori under 40 del mondo. Ma quanti, dietro l’anonimato da lui garantito, hanno compiuto reati e più semplicemente hanno diffamato cittadini indifesi, associazioni intere? Per Sabadin “oltre alla capacità di fare soldi, bisognerebbe giudicare le persone anche dal senso di responsabilità che dimostrano di avere nei confronti degli altri, e se non ne hanno nessuno, è doveroso fermarli”. Ci fanno credere che poter usare a proprio piacimento una piattaforma vuol dire “democratizzazione” ma è solo apparenza: “Dietro la deregulation della globalizzazione informatica si nasconde una sottile operazione di condizionamento. Il controllo delle grandi corporation. C’è poi un terzo pericolo: il trionfo delle fake news, delle fandonie travestite da verità pseudo-oggettiva” ha detto tempo fa il cardinale Gianfranco Ravasi. Come non dargli ragione?

Stefano Bisi