Uscito nelle principali sale italiane lo scorso 22 agosto “La Vita Accanto” è il nuovo film di Marco Tullio Giordana, regista de “I Cento Passi”. Tratto dall’omonimo romanzo del 2011 scritto da Mariapia Veladiano, nel cast troviamo Valentina Bellè, Sonia Bergamasco e Paolo Pierobon.

“La Vita Accanto”, recensione

In una sera invernale del 1980 nel cuore di Vicenza nasce una piccola bimba con gli occhi e i capelli scuri. Si chiama Rebecca (Viola Basso a sei anni, Sara Ciocca a dieci e Beatrice Barison a diciassette) e ha le guance tonde e paffute come una nocepesca. E proprio come quel frutto estivo ha in volto una macchia di un rosso vivo come il vino. Sua madre Maria (Valentina Bellè) e suo padre Osvaldo (Paolo Pierobon) a lungo hanno atteso la sua nascita. I due sono la perfetta incarnazione della tipica coppia borghese italiana degli anni ’80: lei di molto più giovane, bella, minuta e senza alcuna aspirazione lavorativa, che si lascia accudire dal marito più grande quasi come fosse il padre. Lui, benestante ginecologo di successo dall’aspetto ordinario, è totalmente invaghito dalla moglie, inebriato dal dolce profumo della giovinezza e dal richiamo irresistibile di un corpo ancora tonico. Vivono in un palazzo d’epoca che affaccia sulle sponde del fiume Bacchiglione, che attraversa la città. Al piano di sopra vive Erminia (Sonia Bergamasco), gemella di Osvaldo, pianista di successo rimasta nubile. Quell’immobile è stato lasciato in eredità ai due fratelli dai genitori ormai defunti, insieme a un cospicuo patrimonio monetario.

C’è un rapporto molto affiatato fra i tre, quasi come fossero tutti legati in un unico matrimonio. Erminia adora Maria ed è fortemente legata al fratello Osvaldo. Maria, dal canto suo, sembra essersi ambientata perfettamente in famiglia e ha stretto un allegro sodalizio con entrambi. Tutto fa presagire un fortunato futuro roseo nel quale la bambina potrà crescere amata e viziata, prescelta per dei privilegi non concessi a molti. Ma quel grosso angioma che le attraversa il viso e che scende giù, fin sul collo, pare immediatamente diventare una sorta di fissazione maniacale per la madre che da subito la rifiuta. Maria è ossessionata da quel vispo colore purpureo della macchia, al punto da sviluppare una vera e propria psicosi. Rebecca, apparentemente così fortunata, cresce invece in un ambiente triste e ostile, costretta a sopportare i deliri e la depressione acuta della mamma che giorno dopo giorno diviene sempre più forte e opprimente. Maria non esce, ha gettato tutti gli abiti colorati e si veste soltanto di nero convinta di dover incarnare un lutto. Costringe la figlia a starsene chiusa in casa e si rifiuta di iscriverla a scuola; vuole difenderla a tutti i costi, dice, dalle maldicenze, dagli sguardi indiscreti e dalle cattiverie della gente. Ma la zia la ama profondamente, si attacca a lei come se fosse sua e riesce a convincere Maria ad iscriverla a scuola. Così Rebecca comincia ad uscire di casa, ad esplorare il mondo, scoprendo che le persone non sono poi così interessate, o disgustate, da quella neoplasia congenita. La sua compagna di banco, una vispa bambina linguacciuta con gli occhi verdi e una bellissima cascata di ricci ramati, diventerà la sua migliore amica e le due saranno ben presto inseparabili.

Inoltre abituata sin da neonata ad ascoltare Erminia suonare il piano, all’età di sei anni inizierà a sentirsene terribilmente attratta e posando le dita sui tasti, cominciando a suonare come se fosse un gioco, scoprirà di possedere un enorme talento innato. Dunque, le cose sembreranno risolversi dando modo a Rebecca di vivere più serenamente. Ma la madre, che continuerà ad intervallare per dieci lunghi anni attimi di lucidità a giornate intere in preda a paranoici attacchi psicotici, non sarà mai in grado di guarire non ricevendo le giuste cure psichiatriche. Così, nel bel mezzo di una notte del 1990, andrà a suicidarsi gettandosi nel fiume. Ma sarà davvero quell’angioma la causa scatenante dei disturbi psichici di Maria? Rebecca, ormai cresciuta, qualche anno dopo troverà il diario segreto della madre nascosto sotto il cassetto di un comò nella sua vecchia stanza. Tra quelle pagine scoprirà, lentamente, che Maria l’amava moltissimo e che in quel palazzo così bello e antico si nasconde in realtà un segreto oscuro, che non può essere pronunciato neanche bisbigliando.

“La Vita Accanto”, critica

Uscito nelle principali sale italiane lo scorso 22 agosto, “La Vita Accanto” è il nuovo film del regista Marco Tullio Giordana tratto dall’omonimo romanzo del 2011 della scrittrice Mariapia Veladiano, candidato al Premio Strega. La pellicola è stata presentata fuori concorso all’ultima edizione del Locarno Film Festival.
A interpretare i ruoli dei protagonisti troviamo un ottimo cast con Paolo Pierobon, Valentina Bellè, Michela Cescon, la piccola Viola Basso, la giovanissima di grande talento Sara Ciocca, Sonia Bergamasco che ha avuto l’opportunità di mostrarci anche il suo notevole talento da pianista, oltre che da attrice, e Beatrice Barison. Quest’ultima interpreta il ruolo della protagonista Rebecca all’età di diciassette anni. Esordio di buona esecuzione alla recitazione, ha inoltre mostrato le sue spiccate capacità di suonare il pianoforte. Diplomata al conservatorio, ha iniziato dapprima a studiare il piano privatamente all’età di otto anni.

L’intera storia è caratterizzata da un’aria cupa e fortemente drammatica, addentrandosi nel privato universo del dolore “dei ricchi” ossessionati dal bisogno di tenere nascosti i propri drammi, per allontanare il chiacchiericcio giudicante. Proprio a causa di questo bisogno di lavare i panni sporchi in famiglia, la coprotagonista Maria non inizierà mai un percorso di psicoterapia che invece avrebbe potuto salvarla. Soprattutto nei decenni scorsi, neanche in una famiglia facoltosa dove uno dei due coniugi era medico si accettava l’idea di andare da uno psicologo, come fosse una vergogna impronunciabile da tenere nascosta. A causa di questo non soltanto la vita della mamma verrà completamente persa, ma anche quella del resto dei familiari verrà schiacciata e rovinata dal peso di un problema gravoso che non poteva essere risolto fra le mura domestiche.

Ciò nonostante Rebecca sarà una bambina tenace e caparbia, diverrà un’adulta forte e indipendente, riuscendo a staccarsi dalle intricate e disturbate dinamiche parentali, malgrado l’assente supporto di un’adeguata psicoterapia. Questo forse è l’unico punto eccessivamente speranzoso e difficilmente probabile. Sembra che gli esseri umani siano destinati a soffrire, anche quando la vita gli regala delle buone fortune. E su quale dolore si concentra chi ha troppi soldi per patire la fame? Su una minuscola inezia come un angioma non degenerativo e che non comporta alcuna ripercussione sullo stato di salute. Insomma, è come se sentissimo la necessità costante di farci del male.
Tre virgola nove stelle su cinque.