Che fine ha fatto Marita Comi? Sono in tanti a chiederselo, dopo aver guardato su Netflix la serie tv “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”, che ha riacceso i riflettori sull’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra. Ecco che lavoro fa e dove vive oggi la donna insieme ai figli avuti con Massimo Bossetti, riconosciuto colpevole del delitto.

Che fine ha fatto Marita Comi? La nuova vita della moglie di Massimo Bossetti

Prima che il marito finisse in carcere con una condanna all’ergastolo, Marita Comi viveva insieme a lui e ai tre figli in una casa di via Piana di Sopra, a Mapello. Faceva la casalinga: dopo il caso Yara, fu assunta – non senza fatica (come essa stessa dichiarò) – da una ditta di pulizie. Oggi ha 45 anni e lo stesso lavoro.

Da sempre si dice convinta dell’innocenza di Massimo Bossetti, che attualmente è detenuto nel carcere di Bollate, a Milano. Intervistata da Netflix per la serie tv “Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio”, ha raccontato, di recente, di come la sua vita sia cambiata dopo il 16 giugno del 2014.

Scoprì dal telegiornale che gli inquirenti, da anni a lavoro per risolvere il caso, erano finalmente arrivati al nome dell’assassino della 13enne di Brembate, scomparsa nel novembre del 2010 e trovata morta, in un campo di Chignolo d’Isola, tre mesi più tardi; poi seppe che si trattava di quello del marito.

“Era disperato, piangeva, diceva che si voleva ammazzare, che non ce la faceva più – ha spiegato, riferendosi a lui, sempre ai microfoni di Netflix -. Abbiamo cercato tutti di confortarlo e di stargli vicino, ma sono stati momenti difficili e dolorosi. Sono ferma ancora a quel giugno”.

Come si è arrivati all’assassino di Yara Gambirasio

Il 26 novembre del 2010 Yara era uscita di casa per recarsi in palestra e consegnare uno stereo alle sue istruttrici di ginnastica. Un’ora dopo il suo arrivo, dopo aver assistito all’allenamento degli atleti più piccoli, si era diretta, di nuovo, a piedi, verso la sua abitazione, ma non aveva mai fatto ritorno.

Il suo corpo fu trovato senza vita il 26 febbraio del 2011 da un aeromodellista impegnato in dei test in un campo di Chignolo d’Isola, a una decina di chilometri circa da Brembate: secondo l’autopsia era lì dal giorno della scomparsa.

A portare a Massimo Bossetti furono diversi elementi. I filmati delle telecamere di videosorveglianza installate nei pressi della palestra ripresero il suo furgone bianco aggirarsi in zona a un orario compatibile con quello del rapimento della ragazzina. Il suo telefono risultò essersi agganciato, inoltre, a una cella vicina.

Sul suo computer, nel corso dei dovuti accertamenti, furono trovati una serie di video di minorenni. Ma c’era anche quella che sarebbe stata chiamata, più avanti, la “prova regina“: si era scoperto che il Dna estratto dagli slip che Yara indossava combaciava con il suo. L’uomo fu arrestato e il 26 febbraio del 2015 rinviato a giudizio.

Nell’ottobre del 2018, la condanna definitiva, mai accettata da lui e dai suoi legali, che più volte, negli scorsi mesi, hanno ribadito di sperare di poter arrivare alla revisione del processo a suo carico. Ritengono che l’uomo sia vittima di un errore giudiziario, che sia stato, semplicemente, incastrato.

E puntano il dito, in particolare, sulla magistrata Letizia Ruggeri, che si occupò delle indagini. Ne avevamo ripercorso la storia in questo articolo, dagli esordi all’indagine che da un po’ la riguarda per i reati di depistaggio e frode processuale.