I lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il lavoro possono beneficiare della Naspi, ma in alcuni casi l’Inps può richiederne la restituzione.
Si tratta, nella fattispecie, del caso dell’indebito Inps. Si verifica nelle situazioni in cui il cittadino ha beneficiato di una prestazione pur non avendone gli effettivi diritti.
La condizione si verifica quando la condotta del cittadino è causa dell’illegittima elargizione di una prestazione previdenziale, ma anche quando l’errore sia stato commesso dallo stesso ente, in questo caso l’Inps.
Quando tocca restituire la Naspi? Nel testo, analizziamo i casi.
Chi ha diritto alla Naspi
I lavoratori dipendenti del settore pubblico e del settore privato hanno diritto all’indennità Naspi, ogni qual volta perdono involontariamente il lavoro.
La condizione essenziale per beneficiare della prestazione è lo stato di disoccupazione, verificabile nelle seguenti ipotesi:
- Licenziamento, anche per giusta causa;
- Dimissioni per giusta causa;
- Dimissioni durante la maternità;
- Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
- Mancato rinnovo del contratto a termine;
- Risoluzione del contratto di lavoro per rifiuto del lavoratore al trasferimento in un’altra sede distante più di 50 km dalla residenza.
La Naspi è un trattamento corrisposto in misura percentuale in base al precedente stipendio, per una durata massima di 2 anni.
Quando l’Inps può chiedere la restituzione della Naspi
Sembra paradossale, anche se si verifica con una frequenza non indifferente: l’Inps può chiedere la restituzione della Naspi, nei casi in cui la prestazione assistenziale sia stata indebitamente percepita.
Le ipotesi sono diverse. Il caso più frequente è quello del disoccupato che ha trovato un nuovo impiego e percepisce la Naspi, non comunicandolo all’Inps. Non effettuando la comunicazione, ha continuato a percepire la Naspi unitamente allo stipendio e, quindi, impropriamente.
Tuttavia, l’indebito può anche verificarsi quando l’errore è stato commesso dall’Inps stesso. Si pensi ai casi in cui l’Istituto ha erogato la Naspi pur mancandone i presupposti di legge. Ma anche nei casi in cui l’Inps ha erogato la Naspi per un periodo superiore a quello stabilito dall’ordinamento.
In buona sostanza, in tutti questi casi di percezione indebita, l’Inps può chiedere la restituzione della Naspi, a prescindere se l’errore sia stato commesso dal percettore o meno.
Oltre alla restituzione, l’Inps ha anche diritto agli interessi sulle somme indebitamente erogate. Ciò si applica solo ai casi di percezione in malafede, ovvero quando il percettore era perfettamente a conoscenza di essere in torto, ma ha preferito fare finta di nulla.
Come opporsi all’Inps
Non bisogna pensare che l’Inps possa sempre legittimamente richiedere la restituzione della Naspi.
Si deve valutare se la richiesta sia fondata o meno, cioè se davvero la Naspi sia stata percepita indebitamente. Anche se così fosse, il contribuente ha sempre la possibilità di opporsi, qualora sia decorso il termine prescrizionale. Nel caso dell’indebito Inps è di 10 anni. L’Inps non può chiedere la restituzione della Naspi se sono trascorsi 10 anni dall’ultima mensilità pagata.
Tuttavia, ogni lettera di messa in mora interrompe il termine prescrizionale, con la conseguenza che esso inizierà a decorrere da capo.
Il percettore non può opporsi facendo valere il legittimo affidamento, ovvero l’interesse a preservare una situazione voluta dalla pubblica amministrazione.
Nel caso della buona fede del percettore e di errore dell’Istituto, non si può chiedere di trattenere l’indennità ricevuta, anche se non si sia fatto nulla per ingannare l’Inps. In questo caso, la Naspi erroneamente percepita deve essere restituita anche quando il cittadino sia in buona fede e l’errore non sia stato da lui determinato.
Il principio del legittimo affidamento non è sufficiente alla pretesa restitutoria dell’ente previdenziale.