Ci sono storie che scuotono, imprimendosi nell’immaginario collettivo semplicemente perché sono agghiaccianti, terrorizzanti, inspiegabili, come quella di Andrej Romanovic Cikatilo, il serial killer sovietico che in 12 anni uccise ben 53 persone, molte delle quali di giovane età. Per raccontarla dobbiamo tornare indietro nel tempo.

La storia di Cikatilo

L’infanzia, l’università, i primi problemi

Andrej Romanovic Cikatilo nasce nel 1936 in un piccolo villaggio dell’Ucraina, all’epoca parte dell’Unione Sovietica, da una famiglia poverissima. I genitori sono contadini e, con l’ingresso del Paese nella Seconda Guerra Mondiale, faticano a procurarsi abbastanza cibo per tutti, andando incontro a una devastante carestia.

Alla fame si aggiungono, poi, le conseguenze del conflitto: con l’invasione dell’Urss da parte della Germania nazista, il padre di Andrej, che era partito come soldato, viene fatto prigioniero. La madre, rimasta sola, viene sottoposta dai nemici a stupri e sevizie, spesso sotto gli occhi impotenti del figlio, che per la prima volta entra in contatto con la violenza.

Negli stessi anni scopre che il fratello maggiore, Stepan, è stato ucciso diversi anni prima della sua nascita e mangiato dai vicini di casa affamati: ancora oggi non si sa se sia vero, ma la notizia lo sconvolge. E lo cambia per sempre.

È ancora adolescente quando si rende conto di soffrire di impotenza. Col tempo, alle difficoltà con le ragazze, si aggiungono altri problemi: nel 1954, dopo essersi diplomato, prova ad accedere alla facoltà di Legge di Mosca, ma viene respinto. Riuscirà a laurearsi solo nel 1971, in Letteratura russa. A quel punto, oltre a sposarsi con un’amica della sorella Tatyana, avrà già avuto due bambini: Lyudmila, nata nel 1965, e Yuri, del 1969.

Le 53 vittime

Alla laurea fa seguito l’inizio della sua carriera da insegnante: Chikatilo, però, non riesce a farsi rispettare dai suoi alunni. Spesso li maltratta e ne abusa, ma nessuno ha il coraggio di denunciarlo. Viene licenziato, poi assunto da un’altra scuola e continua con le violenze. Ogni volta la stessa cosa.

Nel 1978, quando ha ormai 42 anni, uccide la sua prima vittima. Si tratta di una bambina di appena 9 anni. Dopo averla attirata in una trappola, prova a violentarla; lei si dimena, fugge: così, a un certo punto, Chikatilo la soffoca. Non contento, la pugnala allo stomaco. Poi ha un’eiaculazione.

Ad eccitarlo è il crimine. E quello di Lena – questo il nome della bimba – è solo il primo dei tanti. Il modus operandi che usa è sempre lo stesso: dopo aver attratto le sue vittime in luoghi appartati, promettendo loro soldi e regali, le stupra.

Poi provoca loro delle ferite superficiali con un coltello: gode nel vederle soffrire. Quando è stanco, le uccide, strangolandole e accoltellandole. E spesso ne mutila i corpi, cibandosene (come il “cannibale di Milwaukee” faceva con le sue vittime).

L’arresto, la confessione, l’esecuzione

Per ben 12 anni continua a compiere omicidi: anche quando gli inquirenti cominciano a sospettare di lui, non riescono ad incastrarlo. Il 19 novembre del 1990, alla fine, la svolta sperata: degli agenti lo sorprendono mentre, con la sua valigetta da killer, importuna delle ragazzine e lo arrestano.

Interrogato, Chikatilo confessa ben 53 delitti. Nel 1992 parte il processo a suo carico; il 14 febbraio di due anni dopo viene giustiziato, con un colpo di pistola alla nuca, nel carcere di Novočerkassk. Si dice che le sue ultime parole siano state: “Non fatemi saltare il cervello, i giapponesi vogliono comprarlo”. Ancora oggi, da molti, viene ricordato, nelle sue zone, come il “comunista mangia bambini” o “macellaio di Rostov”, il luogo in cui ha mietuto gran parte delle vittime.

Ne ha parlato Fabio Camillacci in una delle ultime puntate di “Crimini e criminologia”, in onda tutti i giorni dalle 19 alle 20 in radiovisione su Radio Cusano Campus e Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre). Clicca qui per recuperarla.