Pensione posticipata e incentivi per rimanere a lavoro: la disciplina del pubblico impiego segue regole differenziate da quelle applicate al settore privato. Al compimento dei 65 anni di età, infatti, un dipendente della Pubblica amministrazione che maturi il diritto alla pensione anticipata – sia per aver raggiunto il requisito anagrafico che quello contributivo – in linea di massima non potrebbe richiedere di rimanere a lavoro e ottenere anche l’incentivo previsto per la quota 103.

Diverso è il caso, invece, dei dipendenti pubblici che richiedano di proseguire il rapporto di lavoro per mancata maturazione dei requisiti essenziali per la pensione di vecchiaia. In questa situazione, la risposta è affermativa e si può procedere con la permanenza in servizio entro certi limiti.

Pensione posticipata, si ha diritto all’incentivo del Bonus Maroni della quota 103?

Posticipare la pensione per chi rinunci alla quota 103 e ottenere l’incentivo previsto, anche per il 2024, del cosiddetto “Bonus Maroni” per incrementare la busta paga durante il proseguimento del rapporto lavorativo non è applicabile per i dipendenti del pubblico impiego che abbiano raggiunto il cosiddetto “limite ordinamentale”.

Per un dipendente che maturi i requisiti della pensione anticipata all’età di 65 anni anche dal punto di vista contributivo, nonostante la risoluzione in automatico del rapporto di lavoro del contratto collettivo nazionale previsto per il proprio impiego, il limite anagrafico sopra indicato rappresenta un tetto invalicabile di uscita per la pensione di vecchiaia.

Quota 103, che cos’è l’incentivo per proseguire il rapporto di lavoro?

L’incentivo legato alla quota 103, invece, si applica a chi abbia maturato, a partire dai 62 anni di età, i 41 anni di contributi utili richiesti dalla misura. In tal caso, il Bonus Maroni consente di rimanere proseguire il lavoro e di ottenere degli sconti sui contributi previdenziali da versare, da accreditare direttamente in busta paga come stipendio netto.

Nel caso di raggiungimento di limite ordinamentale fissato a 65 anni di età, dunque, non può farsi valere la misura prevista dalla quota 103 per continuare a lavorare altri due anni fino alla maturazione dell’età della pensione di vecchiaia.

Quanti anni di contributi bisogna avere per andare in pensione?

Diverso è il caso di un dipendente del pubblico impiego che abbia necessità di continuare il rapporto di lavoro per il mancato raggiungimento dei requisiti validi per la pensione di vecchiaia. Si ponga il caso di un insegnante che abbia compiuto l’età di 67 anni alla conclusione dell’anno scolastico del 31 agosto 2024, ma con all’attivo solo 17 anni e mezzo di contributi previdenziali versati.

Qual è il minimo di contributi per le pensioni?

Non avendo maturato il requisito minimo dei 20 anni di contributi per la vecchiaia, le norme previdenziali consentono di rimanere in servizio per gli anni occorrenti a completare il minimo contributivo. Ma occorre prestare attenzione alle regole in vigore in casi come questo.

Infatti, il docente può rimandare l’uscita dal lavoro finché non maturi i 20 anni di contributi previdenziali, comprendendo tutte le anzianità contributive versate (non solo quelle da insegnante) nella propria vita lavorativa. Tali periodi devono essere temporalmente non coincidenti per essere considerati come singoli lassi di tempo di versamento dei contributi.

Pensione posticipata, come lavorare di più se non si hanno i 20 anni di contributi?

Il trattenimento in servizio può essere richiesto a condizione che il docente raggiunga i 20 anni di contributi entro l’età massima di 71 anni. Pertanto, l’amministrazione scolastica dovrà consentire di proseguire il rapporto di lavoro per il periodo necessario alla maturazione dei requisiti, che dovrebbe avvenire nella prima parte del 2027.

Per le regole particolari vigenti per il personale della scuola, l’uscita del docente dal lavoro avverrà il 31 agosto di quell’anno, con la cessazione dal servizio e decorrenza della pensione dal 1° settembre 2027.