Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo rappresenta una delle principali modalità attraverso le quali un datore di lavoro può risolvere unilateralmente un rapporto di lavoro. Questo tipo di licenziamento si basa su motivi economici, organizzativi o produttivi, legati alla gestione dell’azienda. Tuttavia, sebbene il datore di lavoro goda di ampi margini di discrezionalità in queste decisioni, la legge impone una serie di obblighi e tutele a favore del dipendente, primo fra tutti l’obbligo di repêchage.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: cosa significa?

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si verifica quando un’azienda decide di cessare un rapporto di lavoro a causa di esigenze economiche o riorganizzative che rendono superfluo il ruolo del dipendente. Questo può avvenire, ad esempio, in seguito alla riduzione delle commesse, alla chiusura di un reparto o alla sostituzione del personale con soluzioni tecnologiche. Tuttavia, è importante sottolineare che il licenziamento deve essere motivato da ragioni oggettive e non discriminatorie.

Esempi concreti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo includono:

  • Calo di commesse: riduzione del volume di lavoro dovuta a una diminuzione della domanda di prodotti o servizi.
  • Crisi strutturale del settore: difficoltà economiche persistenti nel settore di appartenenza dell’azienda, non legate a fattori stagionali.
  • Automazione: sostituzione del lavoro manuale con tecnologie avanzate come software o robot.
  • Riduzione del personale: necessità di ridurre i costi aziendali attraverso la diminuzione del numero di dipendenti.
  • Esternalizzazione delle mansioni: delegare alcune funzioni aziendali a terzi tramite contratti di outsourcing.

L’obbligo di repêchage: cosa significa e come funziona

L’obbligo di repêchage è una delle principali tutele previste per i dipendenti nel contesto di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Questo principio, sviluppato dalla giurisprudenza, impone al datore di lavoro di verificare se esistono altre posizioni all’interno dell’azienda a cui il dipendente possa essere assegnato prima di procedere al licenziamento. In altre parole, il datore deve fare tutto il possibile per evitare il licenziamento, offrendo al lavoratore un’altra mansione, anche se diversa da quella originaria, purché equivalente e compatibile con le sue competenze.

La verifica del repêchage non è un semplice passaggio formale, ma richiede un’attenta valutazione delle possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda. Ad esempio, se un’azienda sta riducendo il personale in un reparto ma ha bisogno di rinforzi in un altro, il datore deve considerare la possibilità di trasferire il dipendente piuttosto che licenziarlo.

Cosa succede se il datore non rispetta l’obbligo di repêchage?

In passato, la mancata osservanza dell’obbligo di repêchage poteva comportare la reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro. Tuttavia, recenti pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 128 e 129 del 2024) hanno chiarito che la violazione di questo obbligo deve essere sanzionata con il risarcimento del danno, piuttosto che con la reintegra. Questo significa che, se un datore di lavoro non rispetta l’obbligo di repêchage, dovrà risarcire il lavoratore per il danno subito, ma non sarà obbligato a riassumerlo.

Quando e come contestare il licenziamento

Il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo ha il diritto di contestare il licenziamento qualora ritenga che le motivazioni addotte dall’azienda non siano veritiere o giustificate. La contestazione può essere portata avanti mediante un ricorso al giudice del lavoro, che sarà chiamato a valutare la legittimità del licenziamento. Il giudice, tuttavia, non può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali del datore di lavoro, ma deve limitarsi a verificare che il licenziamento sia fondato su motivi oggettivi e verificabili, come la soppressione di una mansione o la cessazione di un ramo d’azienda.

In un contesto giuridico, il dipendente può cercare di dimostrare che esistevano altre posizioni disponibili in azienda, alle quali avrebbe potuto essere assegnato, oppure che le ragioni economiche alla base del licenziamento non erano sufficienti o veritiere. Se il giudice accoglie la contestazione, il licenziamento può essere dichiarato illegittimo, con conseguente reintegro del lavoratore o risarcimento economico.

Che differenza c’è con il licenziamento disciplinare

È fondamentale distinguere tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il licenziamento disciplinare. Mentre il primo si basa su esigenze aziendali e motivazioni economiche, il licenziamento disciplinare è il risultato di una grave inadempienza del lavoratore, come violazioni del contratto di lavoro o comportamenti scorretti.

Il licenziamento disciplinare richiede una procedura più articolata rispetto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro deve innanzitutto comunicare al lavoratore l’avvio del procedimento disciplinare, indicando specificamente l’addebito contestato. Il lavoratore ha poi il diritto di difendersi, presentando le proprie giustificazioni o richiedendo un incontro per chiarire la situazione. Solo dopo questo processo, il datore di lavoro può decidere se procedere con il licenziamento.

Nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, invece, non è previsto alcun addebito da contestare. Il datore di lavoro deve semplicemente comunicare per iscritto il licenziamento, rispettando i termini di preavviso previsti dal contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL). Se il datore decide di rinunciare al preavviso, è obbligato a pagare al lavoratore una indennità sostitutiva.

Cosa spetta al dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo?

Quando un dipendente viene licenziato per giustificato motivo oggettivo, ha diritto a una serie di indennità e compensi. Oltre al preavviso (o all’indennità sostitutiva), il lavoratore ha diritto a:

  • Ultima mensilità: il pagamento dello stipendio relativo al periodo lavorato fino alla data di cessazione del rapporto.
  • Ratei di tredicesima e quattordicesima: il calcolo e il pagamento delle quote di tredicesima e quattordicesima maturate fino al momento del licenziamento.
  • Ferie non godute: la liquidazione in denaro delle ferie maturate e non ancora fruite.
  • Trattamento di Fine Rapporto (TFR): il calcolo e il pagamento del TFR, accumulato durante il periodo di lavoro.
  • NASPI: l’assegno di disoccupazione erogato dall’INPS, che spetta al lavoratore licenziato se soddisfa i requisiti previsti.