In Italia, il numero di posti di lavoro a rischio ha superato la soglia critica dei 60 mila, una cifra che raddoppia se si considerano anche i settori in forte difficoltà a causa delle transizioni e riconversioni produttive che portano a crisi industriali in Italia. Questi dati allarmanti emergono dall’ultimo aggiornamento fornito dalla Cgil, che monitora attentamente la situazione delle imprese per le quali sono aperti tavoli di crisi presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT). Con un incremento di 2.547 lavoratori in situazioni di crisi solo nell’ultimo aggiornamento dell’8 agosto, il totale dei lavoratori coinvolti è salito a oltre 60.573, rispetto ai 58.026 registrati a gennaio.
Transizioni e riconversioni: posti di lavoro a rischio per 120 mila lavoratori
Oltre ai dati già preoccupanti, ci sono altri 120 mila lavoratori a rischio nei settori colpiti dalle transizioni o riconversioni produttive. Questi processi di trasformazione, necessari per adeguarsi alle nuove normative ambientali e tecnologiche, stanno mettendo in difficoltà molte aziende, che non riescono a sostenere i costi delle modifiche richieste. In regioni come Puglia e Veneto, la situazione è particolarmente critica, con ulteriori 32 mila posti di lavoro a rischio solo su questi tavoli regionali. Un esempio emblematico di questa crisi è l’anticipazione della chiusura delle centrali Enel a carbone di Civitavecchia e Brindisi al 2025, che porterà a circa tremila esuberi nell’indotto.
Crisi regionali e tavoli di crisi: la situazione attuale
Attualmente, sono 58 le crisi aziendali per le quali è stato aperto un tavolo nazionale al MIMIT. Tra le ultime vertenze arrivate al ministero ci sono quelle di aziende come Bellco, Fbm Hudson, Liberty Magona e Seri Industrial. Questi nuovi casi si aggiungono a una lista già lunga di situazioni critiche, che coinvolgono migliaia di lavoratori in tutta Italia. Il recente salvataggio dello stabilimento Marelli di Crevalcore, rilevato da Tecnomeccanica, è stato accolto con soddisfazione dalla Cgil, ma non è sufficiente a compensare l’apertura di nuovi tavoli di crisi. “Per ogni tavolo che si chiude, se ne aprono due nuovi”, ha dichiarato Pino Gesmundo, segretario confederale della Cgil.
Posti di lavoro a rischio: l’impatto delle transizioni produttive
Le transizioni produttive, necessarie per adeguarsi alle nuove normative, stanno creando situazioni di incertezza in molte aziende italiane. L’anticipazione della chiusura delle centrali a carbone rappresenta solo uno dei tanti esempi di come queste trasformazioni possano avere un impatto devastante sull’occupazione. Con circa 120 mila lavoratori a rischio nei settori in transizione, è evidente che il Paese si trova di fronte a una sfida enorme. La mancanza di una politica industriale chiara e coordinata a livello nazionale complica ulteriormente la situazione.
Serve una nuova politica industriale
Secondo Pino Gesmundo, la soluzione a questa crisi non può essere trovata a livello di singoli ministeri. “Abbiamo bisogno di affrontare complessivamente il tema della politica industriale del Paese”, ha dichiarato, sottolineando la necessità di una strategia coordinata che coinvolga l’intero governo. La Cgil chiederà l’attivazione di un tavolo presso la Presidenza del Consiglio, per discutere delle risorse necessarie e delle politiche da adottare per sostenere l’industria italiana in questa fase di transizione.
La frammentazione delle competenze tra diversi ministeri rende difficile adottare soluzioni efficaci per affrontare la crisi industriale. Gesmundo ha evidenziato come sia essenziale che il governo, e non i singoli ministeri, prenda in mano la situazione. In particolare, ha sottolineato l’importanza di un tavolo di discussione a Palazzo Chigi, che coinvolga i principali attori governativi, tra cui il ministro delle Imprese, il ministro dell’Economia e delle Finanze e il ministro della Transizione Ecologica. Solo attraverso una strategia coordinata sarà possibile affrontare le sfide poste dalle transizioni produttive e dalle crisi regionali.
Il problema delle privatizzazioni: un ostacolo alla politica industriale
Un altro tema critico sollevato dalla Cgil è quello delle privatizzazioni. Gesmundo ha espresso forti preoccupazioni riguardo alla possibilità che il governo possa ricorrere a ulteriori privatizzazioni per fare cassa, lanciando un serio avvertimento: “Se pensano di fare cassa con le privatizzazioni, stanno di fatto smantellando l’idea di una politica industriale del Paese”. In particolare, ha citato i rischi legati alla vendita di asset strategici come la rete di telecomunicazioni di TIM, le infrastrutture delle Ferrovie dello Stato e Poste Italiane, tutte aziende che svolgono un ruolo cruciale nella gestione delle risorse e delle infrastrutture nazionali.
Le privatizzazioni potrebbero compromettere seriamente la capacità del governo di gestire le transizioni digitali e industriali. La vendita di asset strategici come TIM o Ferrovie dello Stato ridurrebbe il controllo pubblico su settori fondamentali per lo sviluppo industriale e tecnologico del Paese. Inoltre, la privatizzazione di Poste Italiane potrebbe mettere a rischio la gestione del risparmio privato, che attualmente viene investito attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per finanziare politiche industriali.