Essere uno chef significa essere una rockstar nel 2024? Tra programmi dedicati alle ricette, la “Masterchef” mania e serie tv come “The Bear”, tutti sembrano andare pazzi per la cucina. Una realtà che appare scintillante, tra celebrità, moda e business. Ma cosa c’è dietro? In attesa dell’uscita di “The Bear 3”, dalle stagioni precedenti del fortunato prodotto di Disney+ con protagonista Jeremy Allen White, emerge una tematica più complessa e profonda: l’ansia. Chef Carmy, nei flashback della serie quando ricorda il suo lavoro in un prestigioso ristorante stellato si mostra fragile, in preda agli attacchi di panico.

Non è tutto oro quello che luccica alla fine: fama, dedizione al lavoro e ambizione sono solo alcuni degli aspetti che accompagnano la vita di un cuoco. Lavorare in cucina fa venire l’ansia? Quanto è stressante lavorare in realtà super affermate come i ristoranti stellati? La cucina è un incubo o un sogno? Perché i prodotti destinati all’intrattenimento che riguardano cibo e cucina oggi hanno così tanto successo e spopolano tra il pubblico?

Tag24 ha approfondito l’argomento con la chef Cristina Bowerman, orgoglio della cucina italiana nel mondo e stella Michelin al Glass Hostaria di Roma. 

“The Bear 3”, l’uscita in Italia: gli chef sono le nuove rockstar?

D: C’è un grande hype per l’uscita di “The Bear 3”, una delle serie tv più apprezzate negli ultimi anni. Ha spopolato, un successo  straordinario presso il pubblico. Perché le serie sulla cucina piacciono così tanto? Oggi essere uno chef è come essere una rockstar?

R: Non è la stessa cosa secondo me, perché le rockstar hanno molta meno privacy, per via del loro successo, l’attenzione dei loro followers, hanno meno privacy. Le persone che godono di così tanta notorietà, che hanno una vita privata praticamente inesistente, hanno uno sbilanciamento a livello emotivo nella loro vita che fa paura secondo me.

Gli chef hanno popolarità certo, ma anche quelli più famosi al mondo possono camminare tranquillamente per strada e anche se qualcuno li riconosce non è una costante così diffusa come accade ad una rockstar. 

Perché “The Bear” ci piace tanto? Chef Bowerman: “Il segreto è la connessione con il cibo”

D: Perché programmi come “The Bear” o “Masterchef” raggiungono questi livelli strepitosi di successo presso il grande pubblico? Oggi c’è una grande attenzione per il mondo della cucina, perché?

R: Tra “The Bear” e “Masterchef” c’è una grande differenza, sono due programmi totalmente diversi. “Masterchef” è nato sullo stile del “Grande Fratello”, un reality dove l’attenzione si concentrava soprattutto sull’umiliazione del perdente, soprattutto nelle prime due edizioni. Basta ricordare i commenti diventati meme virali di Joe Bastianich. Poi hanno aggiustato il tiro, il programma è cambiato nel corso del tempo. Il format ha virato verso una direzione più basata sull’entertainment del pubblico. 

“The Bear” invece è un mix di ingredienti: c’è innanzitutto la parte emotiva, raccontata attraverso i vari episodi che spiegano le relazioni familiari e anche professionali. C’è un focus sulla passione e la voglia di riuscire a realizzare il proprio sogno in cucina. La parte che manca qui – e meno male – è l’umiliazione. Entrambi i protagonisti chef Carmy (Jeremy Allen White, ndr.) e Chef Sydney (Ayo Edebiri), sono animati da una grande voglia di fare. 

Trovo che “The Bear” sia una bella serie, ma volte mi irrita perché si grida un po’ troppo (ride, ndr.) Tra l’altro si dipinge la famiglia italo-americana in una maniera molto estrema, come uno stereotipo, c’è sempre questo urlare tra i membri della brigata che è insopportabile. 

Un elemento che sicuramente fa funzionare la serie presso il pubblico è il fatto che si mettano in mostra i sentimenti, c’è una forte componente emotiva. Oltre ad una recitazione fresca, sveglia e divertente. Poi non dimentichiamo l’elemento fondamentale: in ogni parte del mondo, tutti abbiamo una connessione con il cibo. Tutti parlano di cibo, specialmente gli italiani e i popoli latini. E’ una caratteristica del nostro Paese. Qui non siamo in una nazione in cui il cibo viene semplicemente acquistato e cucinato.

Un’altra ragione dietro il successo di “The Bear” secondo me è la rappresentazione di una grande diversità. Ci sono co-protagonisti e protagonisti provenienti da ogni parte del mondo, di diverse etnie, che sono etero, gay. Se pensiamo a “Masterchef” invece lì vengono sempre rappresentate le stesse tipologie di persone. In ultimo la cucina è cultura, è un elemento fondamentale della nostra vita, soprattutto per noi italiani, e show come questi contribuiscono a far emergere questo valore. Troppo spesso in passato la cucina, dalla sua forma più semplice e quella più alta è stata ridicolizzata, ed è una cosa sbagliatissima.

Lavorare in una cucina stellata è stressante? Bowerman: “Serve equilibrio tra lavoro e vita privata”

In “The Bear” le emozioni non mancano, chef Carmy, il protagonista, spesso si mostra forte, instancabile e geniale, ma allo stesso tempo anche fragile, ha gli attacchi di ansia, va nel panico. Oggi, anche grazie a film come “Inside Out”, parlare di ansia e di emozioni è un po’ più mainstream, più sdoganato. Ci sono ambienti dove l’ansia sembra essere una prerogativa: è così stressante lavorare in cucina? Soprattutto a livelli stellati… Quello che viene mostrato in “The Bear” è vero? Ecco la risposta della chef:

“Il presupposto è che tutti i lavori fatti con passione richiedono impegno e sacrificio. Per raggiungere la massima espressione del proprio lavoro, bisogna dare il massimo potenziale di se stessi, perseguire i propri sogni. Secondo me l’idea della perfezione oggi sta cambiando. Per molto tempo si è avuta la credenza che la persona perfetta fosse quella che non aveva un briciolo di cedimento o insicurezza. Oggi invece mettere in evidenza che siamo esseri umani fallibili tocca quella parte emotiva di cui secondo me in questo momento la società ha proprio sete.

Nell’ultimo episodio della seconda stagione di “The Bear” chef Carmy resta rinchiuso dentro la cella frigorifero, perché ha avuto un attacco talmente feroce di ansia tale da essere quella la soluzione per per salvare la giornata lavorativa. Lo stress in cucina può essere paragonato a tantissimi altri lavori, e una componente importante che lo alimenta secondo quanto dimostrato in vari studi è la presenza del contatto fisico. Il continuo “inciampare”, imbattersi in un’altra persona è uno dei fattori di stress. In cucina è inevitabile, anche solo per una questione di spazi.

Poi se aggiungiamo il fatto che una persona abbia una grande passione, magari quando torna a casa dopo il turno al ristorante, continua a studiare il cibo e non staccare mai può diventare stressante. Il lavoro può essere un’espressione di noi stessi ma funziona al meglio solo e soltanto se c’è un equilibrio con la propria vita privata. Dobbiamo sempre ricavare un angolo che non abbia nulla a che vedere con il nostro mondo lavorativo, altrimenti si finisce per esserne completamente fagocitati. E’ una questione di bilanciamento, altrimenti il pericolo già grave e frequente è quello di andare in burnout. Essere un bravo manager o un bravo capo vuol dire anche prevenire questi episodi”. 

Le cucine stellate di oggi rispecchiano il racconto di “The Bear”?

D: Le cucine stellate sono ambienti davvero così rigidi e “feroci”? I flashback di chef Carmy in “The Bear”, tramite i rumori, i colori, le urla, trasmettono emozioni forti… Il dipinto di quel mondo quanto è fedele alla realtà di oggi?

R: Dipende. Ci sono ancora alcuni ristoranti che lavorano in questa maniera ma sono pochi ormai. Prima era molto più simile alla realtà. A volte in passato mi è capitato di essere l’unica donna che lavorava in un certo tipo di ristorante, dove magari non mancavano episodi di “nonnismo” o mobbing. Oggi, grazie anche a un processo di presa di coscienza da parte del lavoratore, non è più possibile. Con gran ritardo in molti si sono accorti che in realtà, trattando i propri dipendenti umanamente e come giusto che sia, si ha poi un ristorante molto più stabile, più appassionato. 

Se si stabilisce un rapporto responsabile e non intendo paritario, perché io ad esempio ho sempre messo in chiaro i ruoli con i ragazzi della mia brigata di cucina, i risultati a livello professionale poi si vedono. Io resto sempre il capo e quando dico una cosa è quella, ma sono aperta a discussioni e allo stesso tempo tratto con grande dignità tutti i miei collaboratori. Lavorando a stretto contatto è normale che si stabilisca un rapporto di confidenza anche, di fratellanza, di famiglia allargata.

Ecco tutti i dettagli sull’uscita di “The Bear 3”.