Carla Raparelli sarebbe morta dopo aver ricevuto, per errore, il sangue destinato al paziente di un’altra stanza della clinica in cui era ricoverata a Torino: ad accertarlo, l’inchiesta portata avanti dalla Procura per oltre un anno. Nei guai, adesso, un medico e un infermiere della struttura: sono accusati di omicidio colposo e falso ideologico in atto pubblico.

Chi è Carla Raparelli, la donna di 71 anni morta per una trasfusione sbagliata in una clinica di Torino

I fatti risalgono al 9 marzo del 2023. Carla Raparelli, di 71, era stata sottoposta da qualche giorno a un intervento di sostituzione delle valvove a Villa Maria Pia, una prestigiosa clinica del Torinese, quando, all’improvviso, nonostante la buona riuscita dell’operazione, si aggravò e morì nel reparto di Cardiochirurgia.

L’inchiesta portata avanti dalla Procura su richiesta dei figli, durata oltre un anno, ha svelato che ad ucciderla fu una trasfusione sbagliata: la sacca di sangue che ricevette era destinata, in realtà, al paziente di un’altra stanza della struttura, un uomo con un gruppo sanguigno non compatibile con il suo.

Per il medico e l’infermiere che seguirono la procedura, firmando gli appositi moduli senza preoccuparsi dei

necessari controlli di identità, corrispondenza e compatibilità immunologica, confrontando i dati presenti sulla singola unità di enocomponenti, che erano intestati a un altro ricoverato, con quelli di Carla Raparelli, omettendo di identificarla a letto per verificare se il suo nominativo corrispondesse con quello sulla sacca trasfusionale,

scrivono gli inquirenti nell’atto di chiusura dell’inchiesta, è stato ora chiesto il rinvio a giudizio. L’accusa è, per entrambi, di omicidio colposo, ma anche di falso ideologico in atto pubblico: secondo quanto riporta La Repubblica, che ha ricostruito il caso, una volta resisi conto dell’errore, avrebbero infatti cercato di insabbiarlo. A puntare il dito contro di loro, un’anestetista.

La presioza testimonianza di un’anestetista

La sera del decesso dell’anziana, secondo la donna, fu convocata una riunione di emergenza. Qualcuno, tra i colleghi, in quell’occasione le chiese di modificare il documento che aveva redatto dopo essere intervenuta a cercare di rianimare l’anziana e in cui aveva citato, appunto, l’errore trasfusionale.

Le fu chiesto, in particolare, di scrivere sulle carte che la 71enne era morta per una sepsi. Lei si oppose, avvisando la direzione dell’accaduto. Il resto della storia è noto: il pm Giorgio Nicola, dopo oltre un anno di lavoro, ha chiuso le indagini, chiedendo il processo per i presunti responsabili.

Una vicenda simile

Qualche mese fa avevamo parlato della vicenda, per certi versi simile, di un 50enne originario di Napoli che, dopo una lunga convalescenza, aveva scoperto di poter evitare la delicata operazione a cuore aperto a cui era stato sottoposto dai medici dell’ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino.

Un altro caso di “condotta omissiva in ambito sanitario”: dalle indagini era emerso, infatti, che coloro che avevano seguito il paziente non si erano preoccupati di sottoporlo agli esami necessari, da prassi, per avere conferma della prima diagnosi che aveva ricevuto, scoprendo solo quando era ormai tardi che l’intervento non serviva.

“Il Moscati, al termine di una lunga trattativa, ci ha offerto 45 mila euro di risarcimento dei danni”, aveva spiegato a Tag24, ricostruendo l’intero iter seguito dal suo assistito, l’avvocato Michele Francesco Sorrentino, dello studio Maior. “A nostro avviso si tratta di una cifra congrua. Certo, il giudice avrebbe potuto liquidare di più, ma a volte è meglio ‘accelerare i tempi’ e non mettersi ad aspettare la sentenza”, aveva aggiunto.