Negli Stati Uniti, una recente sentenza della Corte distrettuale per il Distretto di Columbia ha segnato un punto di svolta nel panorama tecnologico globale. Il giudice federale Amit Mehta ha dichiarato Google colpevole di aver violato le leggi antitrust, in particolare la Sezione 2 dello Sherman Act, che vieta le pratiche monopolistiche e anti-concorrenziali.

Monopolio Google ricerche online: cosa dice la recente storica sentenza

La sentenza (ne abbiamo parlato qui) afferma che Google ha abusato della sua posizione dominante nel mercato dei motori di ricerca per ostacolare ingiustamente i concorrenti più piccoli. In particolare, il colosso di Mountain View avrebbe stipulato accordi di esclusività con altre aziende, rendendo il suo motore di ricerca l’opzione predefinita su numerosi dispositivi e piattaforme. Questi accordi, secondo la Corte, hanno permesso a Google di mantenere una posizione di monopolio, bloccando l’accesso dei concorrenti e riducendo le possibilità di scelta per i consumatori.

Cos’è lo Sherman Act

La condanna di Google si basa sulla Sezione 2 dello Sherman Act, una delle principali leggi antitrust negli Stati Uniti, promulgata nel 1890. Questa disposizione vieta a qualsiasi persona o impresa di monopolizzare, tentare di monopolizzare o cospirare per monopolizzare qualsiasi parte del commercio tra Stati o con nazioni straniere. Le attività proibite includono l’adozione di comportamenti volti a mantenere il controllo esclusivo di un mercato attraverso mezzi sleali o anti-concorrenziali.

Nel caso di Google, la Corte ha ritenuto che l’azienda abbia mantenuto il suo potere di mercato attraverso pratiche che impediscono la concorrenza, violando così lo Sherman Act. Questo tipo di comportamento è esattamente ciò che la legge è stata progettata per prevenire, al fine di garantire un mercato competitivo e aperto, dove nessun singolo attore può dominare a discapito degli altri.

Gli effetti della sentenza

La decisione del giudice Mehta è arrivata dopo un’attenta analisi delle prove e delle testimonianze presentate durante il processo. Nel 2021, Google ha speso circa 26 miliardi di dollari per assicurarsi accordi di condivisione dei ricavi con produttori di smartphone, operatori wireless e sviluppatori di browser web, garantendo che il suo motore di ricerca fosse impostato come predefinito. Questi accordi hanno contribuito a consolidare la posizione dominante di Google, che detiene una quota di mercato del 95% sugli smartphone e del 90% nella ricerca online in generale.

Nel 2023, Google Search ha generato entrate per 175 miliardi di dollari, una cifra impressionante che dimostra l’efficacia della sua strategia di esclusività. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che queste pratiche siano contrarie alle norme antitrust, in quanto hanno impedito ad altri motori di ricerca di competere in modo equo sul mercato. La sentenza potrebbe quindi portare a un cambiamento significativo nel modus operandi di Google, con possibili ripercussioni anche in Europa, dove le autorità stanno osservando attentamente gli sviluppi negli Stati Uniti.

Monopolio Google ricerche online: cosa succede adesso?

Con l’annuncio della condanna, si aprono quindi diversi scenari per il futuro di Google. L’azienda ha già dichiarato di voler impugnare la sentenza, e secondo le stime di Dan Ives, analista di Wedbush Securities, Google ha tra il 30% e il 40% di possibilità di vincere l’appello. Tuttavia, il processo di appello potrebbe durare mesi, se non anni, lasciando il futuro incerto fino alla decisione finale.

Se Google dovesse perdere l’appello, il giudice Mehta potrebbe imporre una serie di sanzioni, che potrebbero includere una multa sostanziale e l’obbligo di modificare il modo in cui l’azienda opera. Una delle possibilità più concrete è che Google sia costretta a interrompere i suoi accordi di esclusività, permettendo ai produttori di smartphone di offrire ai consumatori la possibilità di scegliere il motore di ricerca predefinito. Questo scenario potrebbe rappresentare un duro colpo per Google, poiché aprirebbe la porta a una concorrenza più equa e potrebbe ridurre significativamente la sua quota di mercato.

Un altro possibile sviluppo è un compromesso, simile a quello raggiunto da Microsoft nel 2001. In quel caso, Microsoft fu costretta a offrire ai concorrenti l’accesso alle sue API, pur mantenendo l’integrità dell’azienda. Allo stesso modo, Google potrebbe essere obbligata a concedere maggiore libertà ai consumatori nella scelta del motore di ricerca, ma potrebbe riuscire a mantenere in vita i suoi principali accordi di partnership, anche se con alcune modifiche.

Apple e OpenAI lanciano la sfida a Google

La sentenza contro Google potrebbe avere effetti a catena sull’intero settore tecnologico. Un’ipotesi avanzata dagli analisti di Wedbush è che Apple, liberata dagli accordi con Google, potrebbe decidere di sviluppare un proprio motore di ricerca. Sebbene questa eventualità sia considerata poco probabile, non è del tutto esclusa. Apple ha già dimostrato di avere le risorse e le capacità tecnologiche per competere in settori dominati da altri colossi, come dimostra la sua posizione nel mercato degli smartphone.

Un altro scenario ancora meno probabile, ma comunque ipotizzato, è una possibile collaborazione tra Apple e OpenAI per creare un motore di ricerca di nuova generazione, alimentato dall’intelligenza artificiale. Se realizzato con successo, questo progetto potrebbe rappresentare una sfida significativa per Google, soprattutto se integrato nei numerosi dispositivi Apple in tutto il mondo.

Cosa cambia per gli utenti?

Con la sentenza del 5 agosto 2024, si apre ora una fase successiva del processo, focalizzata sulla determinazione dei rimedi che Google dovrà implementare. Il giudice Mehta, in collaborazione con esperti del settore, deciderà quali modifiche l’azienda dovrà apportare per conformarsi alla legge antitrust e ristabilire una concorrenza leale nel mercato. Tra le misure che potrebbero essere imposte, si ipotizzano sanzioni finanziarie, la necessità di rivedere o annullare i contratti esclusivi con altre aziende e, in casi estremi, la vendita di alcune attività di Google.

Google ha già annunciato l’intenzione di appellarsi alla sentenza. Kent Walker, presidente degli Affari Globali di Google, ha sottolineato che la decisione del tribunale riconosce la superiorità tecnologica del motore di ricerca dell’azienda, ma al tempo stesso limita la sua disponibilità al pubblico. Questo appello potrebbe prolungare ulteriormente la disputa legale, con modifiche alle operazioni di Google che potrebbero avvenire solo dopo la risoluzione dell’appello.

Ovviamente, per gli utenti non cambierà nulla. Solo a sentenza conclusa, e a sanzione nota, potremmo parlare di conseguenze e cambiamenti anche per gli utenti. Nulla di rivoluzionario, però: semplicemente, saremo liberi di scegliere il motore di ricerca predefinito sul nostro dispositivo.

Un altro potenziale cambiamento riguarda la gestione delle query di ricerca sugli smartphone. Se gli accordi esclusivi di Google con i produttori di smartphone venissero annullati, gli utenti potrebbero essere chiamati a selezionare manualmente il loro motore di ricerca predefinito al primo utilizzo del dispositivo, aprendo la strada a motori di ricerca alternativi come Bing o DuckDuckGo.

Il mercato della ricerca online: confronto impari tra Google e i rivali

Il dominio di Google nel mercato della ricerca online è sorprendentemente resistente, con una quota di mercato che ha superato il 90% dopo il 2020. In confronto, Bing, il motore di ricerca di Microsoft, detiene una quota inferiore al 6%. Questo squilibrio è stato in gran parte attribuito agli accordi esclusivi che Google ha stretto con aziende come Apple, che hanno reso finanziariamente impossibile per queste ultime cambiare il motore di ricerca predefinito senza perdere i miliardi di dollari pagati da Google come quota di entrate.