Il transfer pricing è un concetto chiave nella fiscalità internazionale che riguarda le transazioni economiche tra imprese appartenenti allo stesso gruppo multinazionale. Quando queste transazioni avvengono, è fondamentale che i prezzi applicati corrispondano ai valori di mercato, detti “valori normali“, per evitare che il profitto sia trasferito da una giurisdizione fiscale all’altra, spesso con l’intento di ridurre l’imposizione fiscale complessiva. Questo principio è alla base delle regolamentazioni che mirano a prevenire l’evasione fiscale attraverso la manipolazione dei prezzi di trasferimento.

Nel contesto italiano, la normativa di riferimento è l’articolo 110, comma 7, del DPR n. 917 del 1986, che stabilisce che i componenti derivanti da operazioni con società non residenti devono essere valutati in base al valore normale dei beni o servizi scambiati. Questo valore è determinato secondo criteri specifici stabiliti dall’articolo 9 del medesimo DPR. In presenza di una differenza significativa tra il prezzo concordato e il valore normale, l’Amministrazione finanziaria può intervenire con accertamenti fiscali, come avvenuto nel caso trattato dalla Commissione tributaria di II grado della Lombardia.

Transfer pricing, accertamento e onere della prova: cosa dice la sentenza n. 2160/2024 della Cgt

La sentenza n. 2160/2024 della Cgt di II grado della Lombardia è emblematica nel ribadire l’onere della prova a carico del contribuente in caso di contestazioni sul transfer pricing. Nel caso specifico, l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto i costi dichiarati da una società italiana derivanti da una rettifica dei prezzi di trasferimento, applicando invece il valore normale dei beni secondo quanto previsto dalla normativa vigente.

L’operazione contestata riguardava una fattura emessa dalla consorella inglese della società italiana, con la causale “Price adjustment to product sold during Fy 2003/2004“. Questa fattura, emessa l’ultimo giorno dell’esercizio fiscale, aveva come effetto una significativa rettifica in aumento dei prezzi applicati precedentemente, riducendo così gli utili della filiale italiana. L’Amministrazione finanziaria, rilevando un possibile abuso dei prezzi di trasferimento, ha proceduto a un accertamento che ha portato alla disconoscimento dei costi dichiarati e alla conseguente applicazione del valore normale dei beni.

La valutazione della Corte di Cassazione e il rinvio

Il caso è stato successivamente esaminato dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 18206/2023 ha disposto il rinvio alla Commissione tributaria di II grado per una verifica approfondita del criterio di determinazione del valore normale adottato dall’Amministrazione finanziaria. La Corte ha richiesto una valutazione dettagliata delle prove fornite dalla società contribuente, in particolare dello studio di transfer pricing commissionato dalla stessa.

Il rinvio aveva come obiettivo principale la verifica della correttezza del metodo utilizzato per determinare il valore normale e la sufficienza delle prove fornite dalla parte privata per dimostrare la legittimità delle operazioni effettuate. In questa fase, il giudice di secondo grado ha avuto il compito di valutare se le prove prodotte dalla società fossero adeguate a dimostrare che il prezzo applicato nelle transazioni infragruppo corrispondeva effettivamente al valore di mercato.

La critica allo studio di transfer pricing presentato dalla società

Nell’iter di valutazione, il giudice ha evidenziato alcune criticità nello studio di transfer pricing presentato dalla società contribuente. In particolare, è stato sottolineato come lo studio non fosse sufficientemente dettagliato né riferito specificamente alla fattispecie oggetto di contestazione. Lo studio si concentrava su rapporti economici tra la consociata inglese e la capogruppo americana, senza però analizzare in modo approfondito le transazioni intercorse con la società italiana né le peculiarità del mercato italiano relative all’annualità oggetto di accertamento.

La mancanza di un’analisi specifica e la scarsa correlazione temporale con le transazioni contestate hanno portato il giudice a considerare lo studio come un parere generico, non idoneo a dimostrare la conformità dei prezzi applicati ai valori di mercato. Questo ha comportato la conferma dell’accertamento fiscale da parte dell’Amministrazione, che ha potuto dimostrare l’inesistenza di una giustificazione economica per la rettifica dei prezzi operata l’ultimo giorno dell’esercizio fiscale.

Transfer pricing e accertamenti: l’onere della prova nella determinazione del valore normale

Il caso analizzato ribadisce l’importanza del principio dell’onere della prova in materia di transfer pricing. Secondo la normativa italiana, è compito dell’Amministrazione finanziaria provare che il corrispettivo pattuito tra le parti non corrisponde al valore normale dei beni o dei servizi scambiati. Tuttavia, una volta sollevata la contestazione, spetta al contribuente dimostrare che i prezzi applicati siano conformi ai valori di mercato, fornendo prove concrete e pertinenti che giustifichino la validità delle operazioni effettuate.

Nel caso in esame, l’Amministrazione finanziaria ha adempiuto al proprio onere della prova dimostrando lo scostamento tra il prezzo applicato e il valore normale, supportando la propria posizione con una solida documentazione. Al contrario, il contribuente non è stato in grado di fornire prove sufficienti a dimostrare la legittimità delle proprie operazioni, risultando quindi soccombente nel giudizio.

Conclusioni della sentenza e conseguenze per i contribuenti

La sentenza n. 2160/2024 della Commissione tributaria di II grado della Lombardia, confermata dalla Cassazione, rappresenta un precedente importante in materia di transfer pricing. Essa sottolinea la necessità per i contribuenti di predisporre una documentazione dettagliata e specifica per ciascuna operazione infragruppo, in grado di dimostrare la conformità dei prezzi applicati ai valori di mercato.

In assenza di prove adeguate, il contribuente rischia di subire accertamenti fiscali con conseguenti sanzioni. Pertanto, le imprese che operano in contesti multinazionali devono prestare particolare attenzione alla corretta determinazione dei prezzi di trasferimento, adottando criteri che siano in linea con le normative fiscali vigenti e supportati da studi e documentazioni che possano resistere a eventuali controlli fiscali.

Il principio di vicinanza della prova, come stabilito dall’articolo 2697 del codice civile, impone al contribuente di fornire tutte le prove necessarie per dimostrare la legittimità delle proprie operazioni.