Rapimenti e abusi, omicidi e atti di necrofilia, cannibalismo. Sono solo alcuni dei macabri ingredienti della storia criminale del “cannibale di Milwaukee” o, semplicemente, “Mostro”, come è stato rinominato da tutti Jeffrey Dahmer. Per ripercorrerla dobbiamo fare un passo indietro.
La vera storia di Jeffrey Dahmer, il “cannibale” di Milwaukee
Chi era Jeffrey Dahmer? L’infanzia e l’adolescenza
Jeffrey Dahmer nasce il 2 maggio del 1960 a Milwaukee, nel Wisconsin. Primo dei due figli avuti da Albert Lionel Dahmer – studente di chimica e futuro ricercatore – e da Joyce Annette Dahmer, nata Flint, è un bimbo timido e solitario.
Il padre, che lavora spesso fuori casa, è freddo e distaccato; la madre iper-emotiva e tendente all’autocommiserazione: comportamenti che lo rendono, fin dalla tenera età, insicuro. Ha appena quattro anni quando, a causa di una doppia ernia, viene operato.
Alle elementari, complice l’aggravarsi del malessere della madre e i continui trasferimenti di famiglia per il lavoro del padre, si chiude sempre più in sé stesso, faticando a fare amicizia. Il suo unico interesse sembra essere l’anatomia.
Quando il papà è in casa insieme si divertono a dissezionare piccoli animali. Un passatempo che per Dahmer, nel tempo, diventa un’ossessione. I coetanei pensano che sia un tipo “strambo” e lo allontanano. Di riflesso, a 14 anni, lui inizia a bere.
Il primo omicidio
Insieme alla passione per l’alcol in Dahmer cresce quella per i ragazzi: è adolescente quando si rende conto che ad attrarlo non sono le donne. Non è tutto: ha le prime fantasie. Ma non sono fantasie normali. Oltre a sognare di sottommettere completamentei ragazzi che gli piacciono, Dahmer inizia a sognare di dissezionarli, come fa con gli animali.
Nel 1978, non senza difficoltà, visto anche il recente divorzio dei genitori, riesce a diplomarsi. Poco dopo trova lavoro in una fabbrica di cioccolato. E in più occasioni viene arrestato. Ha da poco compiuto 18 anni quando, nel giugno dell’anno del diploma, uccide la sua prima vittima.
Si tratta di Steven Hicks: Dahmer lo fa salire sulla sua auto con la promessa di accompagnarlo ad un concerto mentre fa l’autostop e, dopo averlo portato a casa sua e avergli offerto delle birre, lo colpisce alle spalle con un manubrio da palestra facendone a pezzi il corpo, che abbandona vicino casa.
Il modus operandi del serial killer
È solo uno dei tanti delitti di cui, in pochi anni, si macchia. Dopo essersi fermato per qualche anno, nel 1987 torna, infatti, ad uccidere. La sua seconda vittima è Steven Tuomi, a cui fanno seguito, poco dopo, Jamie Doxtator e Richard Guerrero.
Il modus operandi che usa è sempre lo stesso: Dahmer adesca i malcapitati in bar e locali per gay e poi li invita a casa. Spesso promette loro dei soldi. Quando sono insieme, scioglie dei sedativi nell’alcol che gli offre e li stordisce.
Pratica loro una sorta di lobotomia, forandone i crani per iniettarci dell’acido muriatico; subito dopo li strangola. Abusa dei cadaveri, li fotografa. Poi li smembra, conservandone delle parti in frigo. In più di un’occasione ne mangia qualcuna: è convinto, così facendo, di poter far rivivere le vittime nel suo corpo.
L’arresto dopo il rapimento di Tracy Edwards
Viene denunciato per violenza sessuale da un giovane di nome Somsack Sinthasomphone e fermato, più di una volta, alla guida in stato di ebbrezza. Nessuno, però, sospetta di lui. Nessuno sospetta che dietro la sua maschera da ragazzo ribelle (e tuttavia sempre educato), si celi, in realtà, un serial killer.
Viene fermato solo quando, nel luglio del 1991, uno dei ragazzi che rapisce riesce a fuggire, allertando una pattuglia di passaggio dell’accaduto. Si chiama Tracy Edwards. E porta i poliziotti in casa di Dahmer. Ciò che vi scoprono è un vero e proprio mausoleo dell’orrore: ci sono non solo teste e ossa umane, ma anche resti in decomposizione.
La morte in carcere
Dahmer viene arrestato e confessa ben 17 omicidi. Il 13 luglio del 1992, al termine del processo a suo carico, viene condannato all’ergastolo per un totale di 957 anni di carcere e trasferito al Columbia Correctional Institute di Portage. La vita da detenuto lo cambia, portandolo alla conversione. Il 28 novembre del 1994 viene ucciso da un altro detenuto con un manubrio da palestra: proprio l’oggetto che lui stesso aveva usato per uccidere la sua prima vittima. Pare che le sue ultime parole siano state: “Non importa se vivo o muoio”. Il suo cervello è stato conservato a scopi di ricerca.
Ne ha parlato Fabio Camillacci in una delle ultime puntate del programma “Crimini e criminologia”, in onda tutti i giorni dalle 19 alle 20 in radiovisione su Radio Cusano Campus e Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre).