La regista Jade Halley Bartlett ha presentato al cinema la sua nuova commedia thriller intitolata “Miller’s Girl”, uscita lo scorso 1 agosto nei principali cinema italiani. La storia narra di un professore di scrittura creativa che inizia a provare una fascinazione romantica, corrisposta, per la sua migliore allieva dell’ultimo anno di liceo in un istituto del Tennessee. Troviamo Jenna Ortega e Martin Freeman nei ruoli principali.
“Miller’s Girl”, recensione
Al di là di un bosco fitto e umido sorge, imponente, un’antica villa circondata da una vegetazione rigogliosa di un verde brillante. Pareti scure spiccano a contrasto con quel vivido colore smeraldo. Gotica, quasi spettrale, dal di fuori, se pur ben tenuta, sembra essere disabitata e invece all’interno di quella gigantesca casa elegante vive una giovane ragazza di nome Cairo Sweet (Jenna Ortega). Come una moderna Cappuccetto Rosso ogni mattina si addentra nella foresta attraversandola, tutta sola, per andare a scuola. Senza alcuna paura, con la naturalezza di un cervo, cammina su quel sentiero che ormai conosce meglio di sé con una sicurezza spontanea come se più che un essere umano, fosse una creatura appartenente al regno animale. Eppure è così minuta Cairo; piccola e magrolina, somiglia a una bambola. Ma, se pur piccina, ha un corpo dalle proporzioni perfette e per quanto acerba, possiede già delle sinuose curve da donna. Una lunga chioma lucidissima di capelli castano scuro le incornicia il volto, ha due grandi occhi scuri da cerbiatta delineati da uno strato folto incurvato di ciglia nere, un’abbondante manciata di lentiggini le tinge le guance tonde, possiede un naso a bottoncino, la carnagione ambrata e una bocca dalle labbra carnose color melograno. I sui genitori sono ricchi avvocati di successo che l’hanno lasciata sola in quell’enorme dimora fredda e desolante, ma essendo cresciuta abbandonata a se stessa ha imparato presto ad essere indipendente e a non aver bisogno dell’aiuto di nessuno. Frequenta l’ultimo anno di liceo in una piccola località del Tennessee, da grande vuole fare la scrittrice e si sta preparando per andare al college.
Una mattina conosce il suo nuovo insegnante di un corso scolastico di scrittura creativa, il professor Jonathan Miller (Martin Freeman). Jonathan è un uomo maturo, sulla cinquantina, che nonostante il suo aspetto ordinario ha qualcosa di fortemente affascinante che esercita un certo ascendente su Cairo. Del resto, come si dice, gli uomini invecchiando migliorano. Ha un fisico ben piazzato, di altezza media, coi capelli brizzolati e uno strato spesso di barba grigia che gli adombra le guance, lasciando intravedere soltanto le labbra piuttosto sottili e il suo accogliente sorriso, che lo fa apparire innocuo come un ragazzino. Ha gli occhi blu, non molto grandi, circondati da qualche ruga sottile. Un tempo voleva fare lo scrittore e in una qualche maniera è ancora convinto di esserlo, ma ha pubblicato soltanto un romanzo da ragazzo e da allora non ha scritto mai più nulla. Ha cominciato presto a lavorare come docente, quasi avesse paura di non essere altezza delle sue ambizioni e come se intimamente avvertisse la certezza che quel primo (e ultimo) lavoro non fosse altro che un colpo di fortuna. È sposato con una donna smaliziata della sua stessa età, che fa la scrittrice e possiede il successo che avrebbe voluto ottenere lui. Nonostante non lo dia a vedere tutto questo lo fa sentire castrato, quasi privato della sua mascolinità, oltre che delle sue ambizioni.
Ed è proprio per questo che quando una giovanissima studentessa bella e fortemente intelligente, dotata di grande talento letterario, come Cairo, gli mostra una spontanea e appassionata ammirazione per il suo libro, si sente lusingato nel trionfo della più banale tracotanza maschile. A completare il quadro, rendendola ancor più irresistibile, c’è la profonda maturità di lei. Nel pieno di un’evidente crisi di mezza età quella ragazza, fresca come un bocciolo pronto a schiudersi, che gli mostra un accorato apprezzamento per la sua unica opera, ingenuamente gonfia il suo ego alla maniera di una pompa a pressione. Lui, stupidamente prevedibile, non riesce proprio a resiste alla tentazione di sentirsi ancora giovane e scapolo, avvicinandosi più del dovuto alla sua allieva. Con la scusa di prepararla al meglio per il compito di ammissione all’università, ne fa una sua proiezione al femminile in un primo momento e una fantasia romantica in un secondo. Anche lei sembra esserne attratta e comportandosi entrambi come due trentenni, si illudono di incontrarsi a metà strada fra le loro età. Frequentano insieme degli incontri di lettura di poesie in un club privato al di fuori dell’orario scolastico, si scambiano i numeri di telefono, fanno colazione nel cortile del liceo. Fumano e flirtano guardandosi negli occhi come se fossero ambedue adulti. Lui arriverà addirittura a recarsi a casa di lei per riportarle il cellulare che aveva dimenticato nella sua valigetta.
Quella stessa sera lei gli invierà un breve racconto che lui le aveva chiesto come compito scolastico: crudo, dettagliato, voluttuoso, grondante lussuria da fargli venire la bava alla bocca. Jonathan ne è impressionato e anche eccitato, al punto da chiudersi nel capanno degli attrezzi per accarezzarsi il membro con la mano fino a darsi piacere. Quella fantasia, così viva da sembrare addirittura un reale ricordo concreto, lo metterà in crisi inducendolo a rifiutare lo scritto e ad allontanare Cairo nel modo più meschino possibile. Sarà lei in grado di gestire questo rifiuto alla maniera di un’adulta? O, come è giusto che sia, non ne sarà capace dimostrando la sua vera età?
“Miller’s Girl”, critica
“Miller’s Girl” è il titolo della nuova commedia thriller scritta e diretta dalla regista Jade Halley Bartlett, uscita nelle sale italiane lo scorso primo agosto. L’intera pellicola è caratterizzata da una fotografia patinata dai colori molto marcati; gli interni e gli arredi stile gotico glam della villa dove risiede la protagonista e i toni più brillanti del verde di una natura rigogliosa, mettono in risalto l’incarnato, i capelli castani e i grandi occhi marroni di Jenna Ortega. Benché non nutrissi grosse aspettative nei confronti di questo film, devo ammettere che ne sono rimasta piacevolmente sorpresa. Per quanto l’intero spettacolo appartenga ad un genere sicuramente commerciale, lontano dal cinema d’essai e d’autore, l’ho trovato molto godibile e inaspettatamente elaborato su un tema particolarmente ostico come quello dell’attrazione fra un uomo adulto e una ragazza adolescente. Il cliché del cinquantenne insoddisfatto della sua esistenza, sia lavorativa che matrimoniale, che rinvigorisce tramite le attenzioni di una giovane donna e che si perde nello sguardo di lei, ammaliata e ingenuamente incantata. Il prurito irresistibile al basso ventre causato dalle morbide carni, ancora illibate e mai esplorate da mani maschili, di un’allieva che rientra appena nell’età del consenso. E ancora il bisogno immaturo di un uomo che procede verso la terza età di sentirsi di nuovo come un ventenne libero, assaporando il brivido di tutta la fase del corteggiamento, di quel ronzarsi intorno e annusarsi come due animali in cattività. Tutte cose che, ahimè, accadono ancora troppo spesso nella vita vera.
Questo ci pone degli inevitabili quesiti, che spesso ignoriamo non pronti a darci una risposta onesta: invecchiare ci rende più deboli, anziché più maturi? Il bisogno di sfuggire alla morte e all’inevitabile tracollo della vecchiaia, fa realmente divenire così patetici e prevedibili la maggior parte di noi? Siamo in grado di non provare alcuna lusinga davanti alla tentazione della giovinezza che viene a bussare alla nostra porta? Riusciamo davvero, in tutta coscienza, a non sentire una puerile soddisfazione egoistica davanti all’offerta di un’occasione così ghiotta?
Questo film si addentra, fra etica e morale, nell’inconscio più profondo dell’autostima ferita di un uomo inappagato. Per quanto la protagonista, alla fine, agisca in preda a impeti d’ira e di vendetta possiamo veramente sentirci a posto con la coscienza nel condannarla? Perché qui l’unica reale certezza che molti non saranno pronti ad accettare, è che un uomo adulto non dovrebbe varcare quella soglia oltre la quale non c’è via di ritorno. Basta il minimo accenno, un solo sorriso con un pelo di malizia, un’occhiata dentro la scollatura o in mezzo alle cosce al di là dell’orlo di una gonna corta. Un individuo sposato, per giunta che va verso i sessant’anni, un professionista, un insegnate, non dovrebbe mai, e dico mai, finire con l’annegarsi da solo nella sua stessa boria. È questo il punto fondamentale dell’intera storia.
Nonostante alcuni passaggi siano poco plausibili, a tratti surreali, l’estetica di questo lungometraggio ci rende inclini a vederlo più come una fiaba e quindi a perdonarne le piccole sbavature.
Nel complesso un buon film al quale assegno tre stelle e mezzo su cinque.