Molti analisti affermano che in Italia non ci sia lavoro, ma la realtà è più complessa. Sebbene ci sia un ritardo in termini di innovazione in settori come il digitale e le infrastrutture, le opportunità lavorative esistono. La vera sfida è la carenza di figure altamente specializzate, essenziali in settori tradizionali come il tessile e il farmaceutico, e in aree emergenti come l’analisi dei dati, il web marketing e il management aziendale. Insomma, le aziende fanno fatica a cercare personale qualificato e competente: gli ultimi dati emersi dalla Indagine Confindustria sul Lavoro 2024 illustrano uno scenario abbastanza critico su questo tema.

Le difficoltà di reperire personale qualificato e specializzato

Secondo l’Indagine Confindustria sul lavoro 2024, il 69,8% delle imprese segnala difficoltà nel trovare le competenze necessarie. Questo problema è particolarmente acuto per le competenze tecniche, citate dal 69,2% delle imprese, e per le mansioni manuali, segnalate dal 47,9% a livello nazionale e dal 58,9% nel settore industriale.

Quali sono i settori con maggiori difficoltà nel trovare personale qualificato

Le difficoltà di reperimento di personale sono particolarmente evidenti in alcuni settori, tra cui quelli della transizione digitale, con il 66% delle imprese che segnalano problemi nel trovare competenze adeguate. Anche la transizione green e l’internazionalizzazione delle imprese presentano alcune criticità, con rispettivamente il 15% e il 33% delle aziende che riscontrano difficoltà di reperimento di personale qualificato.

Le soluzioni delle imprese: formazione e consulenze

Per affrontare la carenza di competenze, il 59,7% delle imprese investe nella formazione del personale esistente. Quasi la metà (49%) si avvale di servizi esterni come consulenze, mentre il 28,5% partecipa a programmi educativi sul territorio, come ITS Academy, PCTO e tirocini curriculari.

Smart working in aumento: i dati

Nel 2023, il 32,6% delle imprese ha adottato lo smart working, un aumento significativo rispetto all’8,9% del periodo pre-pandemia. Questa modalità è più diffusa nei servizi (38,5%) rispetto all’industria (28,2%), e la sua adozione è legata alla dimensione aziendale. Nelle grandi imprese, con oltre 100 dipendenti, il 66,6% utilizza lo smart working, rispetto al 24,2% delle piccole imprese.

Tra le imprese che utilizzano lo smart working, il 34% dei dipendenti non dirigenti ha adottato questa modalità, principalmente per 2-3 giorni a settimana. Solo l’8,9% lo utilizza per un massimo di un giorno a settimana, mentre il 20,9% per 2-3 giorni a settimana e il 4,2% per oltre 3 giorni a settimana.

Contratti aziendali e benefici del welfare

A inizio 2024, il 25,2% delle imprese associate a Confindustria applica un contratto aziendale. Questa percentuale sale al 33,4% nell’industria e scende al 18,1% nei servizi. Nelle grandi imprese, il contratto aziendale è presente nel 76,9% dei casi. Le materie regolate da questi contratti includono premi di risultato, conversione in welfare, orario di lavoro, servizi di welfare aggiuntivi e conciliazione vita-lavoro.

Nel 2023, il 60% delle imprese ha erogato premi variabili collettivi, e nel 40,2% delle imprese, mediamente un terzo dei lavoratori ha convertito due terzi del premio in welfare. Questo dato dimostra un crescente interesse per soluzioni che migliorino la qualità della vita lavorativa e incentivino la produttività.

In sintesi

Molti analisti sostengono che in Italia manchi il lavoro, ma il problema principale è la carenza di figure altamente specializzate. Settori tradizionali come il tessile e il farmaceutico, e nuove aree come l’analisi dei dati e il web marketing, soffrono di questa mancanza. Secondo l’Indagine Confindustria 2024, il 69,8% delle imprese fatica a trovare competenze tecniche e manuali. Per affrontare questo, il 59,7% investe nella formazione e il 49% utilizza consulenze esterne. Il 32,6% delle aziende ha adottato lo smart working, mentre il 25,2% applica contratti aziendali, favorendo il welfare e la conciliazione vita-lavoro.