Il 5 febbraio del 1995, all’età di 15 anni, Manuela Murgia fu trovata morta nel Canyon di Tuvixeddu, a Cagliari, grazie a una telefonata anonima. Il giorno precedente, poco prima di pranzo, era uscita dall’abitazione in cui viveva insieme alla sua famiglia indossando dei jeans sui pantaloni del pigiama per incontrare qualcuno che, chiamandola, l’aveva convinta a raggiungerlo. Poi era scomparsa nel nulla.

Secondo gli inquirenti che si occuparono del caso nell’immediatezza dei fatti, si suicidò, gettandosi dall’alto nel luogo in cui il suo corpo fu ritrovato; i familiari sono invece convinti che fu uccisa e portata nella cava in un secondo momento. Per questo, dopo aver raccolto nuove prove, insieme al team di professionisti che li assiste, guidati dagli avvocati Bachisio Mele e Giulia Lai, avevano presentato alla Procura un’istanza per la riapertura del caso. Il pm Guido Pani, dopo aver visionato il materiale, ha deciso di rigettarla.

Manuela Murgia morta a Cagliari nel 1995, “no” alla riapertura del caso: il commento della sorella Elisa a Tag24

D: Elisa, un commento a caldo sul “no” del pm? Come avete preso la notizia voi familiari?

R: “È stata una grandissima delusione, non solo per noi familiari, ma anche per tutto il team che in questi mesi ha lavorato per arrivare a chiedere la riapertura del caso. Abbiamo raccolto informazioni importanti, nuove prove, incluse relazioni di medici a contrasto con quelle di chi si occupò dell’autopsia sul corpo di Manuela nel 1995, mettendo in risalto i punti che non tornano.

Abbiamo portato una cinematica che dimostra che mia sorella non cadde dall’alto, testimonianze anche oculari. Hanno gettato tutto nel cestino ed è sbagliato. Non conta che siano passati 29 anni. Tanti casi sono stati risolti dopo tanto tempo: si pensi a quello di Beniamino Zuncheddu in Sardegna. Non ci arrenderemo, nella maniera più assoluta. Insieme ai nostri avvocati e tecnici siamo pronti ad una vera e propria battaglia, a una guerra. Purtroppo è necessario”.

Tante le falle nelle indagini: il sospetto dei familiari della 15enne è che più persone siano coinvolte

D: Hai parlato di “punti che non tornano”…

R: “Sono tanti. Ne citerò uno: al momento del ritrovamento Manuela aveva sul collo dei chiari segni asfittici. Lo strozzamento non è causa di autolesionismo, è causato da terze persone. Mi chiedo perché tali segni siano stati ignorati e perché il corpo di mia sorella non sia mai stato riesumato per i dovuti accertamenti, visto che aveva anche la lingua serrata fra i denti. In sede autoptica, già nel 1995, questi elementi avrebbero dovuto essere accertati. Non è stato fatto. Così come non sono stati visionati i tabulati telefonici. Eppure Manuela ricevette una telefonata prima di uscire di casa”.

D: Vi siete fatti un’idea, in questi anni, su un possibile responsabile?

R: “Individuare un unico responsabile per noi è impossibile: pensiamo che l’azione delittuosa posta in essere nei confronti di nostra sorella sia stata compiuta da più persone, a partire da quella che la convinse ad uscire, traendola in inganno. Certo, un’idea ce la siamo fatta, ma indagare non spetta a noi. Non è neanche eticamente corretto. Adesso ci stiamo attrezzando per una nuova relazione medico-legale. Spero di non sentirmi dire, come è già accaduto, che quella elaborata all’epoca vale di più perché i medici visionarono il corpo. È una risposta tendenziosa e ingiusta, sia per i professionisti che ci stanno aiutando, sia per la stessa vittima“.