L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito una risposta dettagliata all’istanza di interpello n. 166/2024 relativa alla qualificazione fiscale dei proventi derivanti da un investimento in azioni con diritti patrimoniali rafforzati, noto come “carried interest” (qui spieghiamo come funziona questo regime). L’istanza è stata presentata da un Chief Investment Officer di una società svizzera, denominato Alfa nell’istanza, che prevede di trasferirsi in Italia e lavorare per un’altra società del gruppo, denominata Beta. La questione centrale riguarda se i proventi ottenuti dalle azioni possano essere considerati redditi di capitale ai sensi dell’articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.
Carried interest: qualificazione redditi di capitale per manager e investitori, il caso specifico
L’Istante, insieme ad altri dipendenti del Gruppo e ai Family Trust, ha investito in Gamma, una società per azioni dell’isola di Guernsey. Il capitale sociale di Gamma è suddiviso in tre categorie di azioni: “Preference Shares”, “Common Shares A” e “Common Shares B”. Le “Preference Shares” garantiscono un ritorno prioritario del capitale investito oltre ad un rendimento predeterminato del 9% annuo, mentre le “Common Shares A” e “Common Shares B” offrono diritti patrimoniali rafforzati. L’Istante ha investito in tutte le categorie di azioni per un totale di circa 1.250.000 euro.
La distribuzione dei proventi di Gamma segue una sequenza specifica (waterfall): prima viene restituito il capitale investito nelle “Preference Shares”, poi vengono pagati i “Preference Dividend” e, infine, l’eventuale eccedenza viene distribuita tra i titolari delle “Common Shares A” e “Common Shares B” con priorità diverse. Questo sistema di distribuzione garantisce che i detentori delle “Common Shares B” ottengano un rendimento più che proporzionale solo dopo che tutti gli altri investitori sono stati remunerati.
Il quesito
L’Istante chiede conferma che i proventi derivanti dalle “Common Shares B” possano qualificarsi come redditi di capitale. Egli sostiene che le condizioni previste dall’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017 siano soddisfatte. In particolare, l’investimento complessivo dei dipendenti nella “Institutional Tranche” e nelle “Common Shares B” rappresenta il 6% del valore economico di Gamma alla data dell’investimento, superando così il requisito minimo dell’1%.
Inoltre, l’Istante sottolinea che le “Common Shares B” ricevono un ritorno del capitale solo dopo la restituzione del capitale investito e il pagamento dei dividendi preferenziali delle “Preference Shares” e delle “Common Shares A”. Qualora le condizioni previste dall’articolo 60 non fossero rispettate, l’Istante ritiene comunque che, data la natura e l’entità dell’investimento, i proventi dovrebbero essere considerati come redditi di capitale.
Carried interest: normativa e interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate, attraverso la risposta n. 166/2024, ha fornito chiarimenti importanti sulla qualificazione fiscale dei proventi derivanti da investimenti con diritti patrimoniali rafforzati, noti come “carried interest”. Questa analisi è particolarmente rilevante per i manager e dipendenti che partecipano a investimenti in azioni, quote o strumenti finanziari.
Requisiti per la qualificazione come redditi di capitale
Secondo l’articolo 60, comma 1, del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, i proventi derivanti dalla partecipazione in società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, se percepiti da dipendenti o amministratori, possono essere qualificati come redditi di capitale. Tuttavia, questa presunzione si applica solo se vengono soddisfatte determinate condizioni specifiche.
Impegno di investimento
Il primo requisito stabilisce che l’impegno complessivo di investimento da parte dei dipendenti e amministratori deve essere pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo dell’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti. Questo requisito è essenziale per garantire un allineamento degli interessi tra i manager e gli altri investitori, riducendo il rischio di perdita del capitale investito.
Distribuzione dei proventi
Il secondo requisito riguarda la distribuzione dei proventi. I proventi delle azioni o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti hanno percepito un ammontare pari al capitale investito e a un rendimento minimo. In caso di cambio di controllo, gli altri soci devono aver realizzato un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al rendimento minimo previsto.
Periodo di detenzione
Il terzo requisito prevede che le azioni, le quote o gli strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati siano detenuti dai dipendenti e amministratori per un periodo non inferiore a cinque anni. In caso di decesso, tali strumenti possono essere detenuti dagli eredi. Questo periodo minimo di detenzione assicura che i manager siano effettivamente esposti al rischio di investimento, allineando ulteriormente i loro interessi con quelli degli altri investitori.
Carried interest e redditi di capitale: cosa dice la circolare n. 25/E del 16 ottobre 2017
La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E ha ulteriormente chiarito che la mancanza di uno o più dei requisiti stabiliti dalla normativa non determina automaticamente la qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa. È quindi necessaria un’analisi caso per caso per verificare l’idoneità dell’investimento a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e manager.
La circolare ha identificato alcuni indicatori che possono essere utilizzati per determinare la natura finanziaria del reddito. La presenza di strumenti finanziari con caratteristiche simili detenuti da altri soci e una adeguata remunerazione per l’attività lavorativa dei manager sono elementi che suggeriscono una natura finanziaria del reddito. Inoltre, l’idoneità dell’investimento a garantire l’allineamento di interessi e l’esposizione al rischio di perdita del capitale investito sono fattori altrettanto importanti.
Clausole di good e bad leavership
Le clausole di good e bad leavership possono influenzare la qualificazione del reddito. In generale, la presenza di tali clausole tende a collegare il provento all’attività lavorativa dei manager, suggerendo una natura di reddito di lavoro. Tuttavia, se i manager mantengono la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro, questo può indicare una natura finanziaria del reddito.
Requisito di investimento minimo
La base di commisurazione dell’investimento dei manager o dipendenti può essere influenzata dagli investimenti successivi effettuati da altri soggetti. I manager devono adeguare i propri investimenti per mantenere la percentuale dell’1% del nuovo valore economico del patrimonio netto. Questo adeguamento è necessario per garantire il mantenimento dell’allineamento di rischi e interessi tra manager e investitori.
Valutazione del piano di co-investimento
La remunerazione del manager e l’investimento complessivo sono elementi chiave nella valutazione del piano di co-investimento. Nel caso in esame, l’Istante percepisce una remunerazione fissa annua di 295.000 CHF, oltre a una remunerazione variabile. L’investimento complessivo dell’Istante, pari a circa 1.250.000 euro, è stato effettuato con mezzi propri, senza ricorso a finanziamenti. Questo indica che l’extra rendimento non è finalizzato a integrare la retribuzione per l’attività lavorativa svolta.
Detenzione delle azioni
L’accordo di investimento prevede che l’Istante possa detenere definitivamente una parte delle “Common Shares B” anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro, a condizione che abbia mantenuto lo status di dipendente per un periodo determinato. Questo meccanismo di vesting delle azioni garantisce che il manager sia effettivamente esposto al rischio di investimento per un periodo sufficiente.