“La Donna del Lago” è il titolo della nuova miniserie, drammatica e thriller, che vede protagonista Natalie Portman nel ruolo di Maddy Schwartz. A Baltimora negli anni ’60 una donna ebrea, madre e moglie, riscopre il desiderio di indipendenza allontanandosi dal marito e il bisogno di riprendere in mano le redini della sua carriera da reporter, abbandonata diciotto anni prima per fare la casalinga, addentrandosi nel mondo del giornalismo investigativo.

“La Donna del Lago”, recensione

Baltimora, Stato del Maryland. 1966.
Sono passati appena ventuno anni dalla conclusione dell’atroce capitolo di uno dei momenti più abietti e raccapriccianti della storia dell’umanità: l’olocausto è ormai soltanto un triste ricordo, ma ancora troppo vicino per non percepirne il peso nell’aria. Ventuno anni, esattamente come quelli che sono necessari a una persona per divenire maggiorenne negli Stati Uniti. E proprio come il bisogno di indipendenza della maggiore età, le donne di tutto il mondo iniziano a percepire il richiamo di una necessaria quanto definitiva emancipazione dal genere maschile. Tra queste donne c’è Maddy Schwartz (Natalie Portman), ebrea osservante e timorata di Dio. Dedita alla vita matrimoniale da diciotto lunghissimi anni. Un marito, un figlio adolescente e una casa di lusso. Cos’altro potrebbe mai desiderare una signora perbene sulla quarantina? Non è forse questo il ruolo più ambito da ogni donna per completare la sua esistenza dandole il giusto obiettivo? Non è fare la madre, la moglie e la casalinga ciò che ognuna di noi intimamente sogna sin dalla prima infanzia? Che dolce e meravigliosa realizzazione è per tutte finire con un anello al dito, la pancia gravida e una scopa in mano.

O magari questo è quello che gli uomini, per troppi secoli, hanno deciso che fosse lo scopo nella vita di ogni ragazza. Per millenni non abbiamo avuto altra scelta che questa: rinunciare ai nostri desideri, alle nostre ambizioni, anche alle più semplici fantasticherie, per prenderci cura di un uomo come se fosse un ragazzino. Accudirlo, sfamarlo, fargli trovare sempre la casa pulita e in ordine, appagarlo sessualmente a suo piacimento anche quando trova il tempo e la sfacciataggine di tradirci, crescere la sua prole come se fosse l’unica ragione della nostra quotidianità. Ma tutto questo non è mai stato il volere di Maddy Schwartz, né di tante altre persone la cui condanna deriva dall’unica colpa di essere nate femmine. Il sesso debole, così ci definiscono; ma Maddy è tutto fuorché fragile. Da giovane aveva delle ambizioni, frequentava un corso di giornalismo al liceo e voleva a tutti i costi diventare una reporter di successo. Eppure ha dovuto rinunciare alla sua carriera in nome di un marito che non è neanche lontanamente avvicinabile alla grandezza di sua moglie. Forte, caparbia, intelligente, colta, elegante, dal temperamento inarrestabile e col cuore gonfio di emozioni al punto da sanguinare, vivo, come una mano che stringe un gambo ricoperto di spine. Inoltre è bellissima, col suo fisico minuto e un viso incantevole dagli occhi grandi e luminosi come due fari accesi nella notte.

L’essere mediocre col quale si è accompagnata per troppo tempo, facendosi comandare giorno dopo giorno in una routine soffocante, sarebbe già un motivo bastante per farla risvegliare all’improvviso, destandosi da un lungo torpore con una voglia di ribellione e di lotta. Ma a questo si aggiunge un dolore grave e opprimente alla bocca dello stomaco per la scomparsa di una bambina di undici anni, Tessie Durst (Bianca Belle), anch’essa ebrea e che vive nel suo stesso quartiere, Pikesville. Questo evento è come un richiamo irrefrenabile che grida alla sua coscienza di svegliarsi e andarsene, senza voltarsi più indietro. E così Maddy, dopo una brutta lite durante il Giorno del Ringraziamento, raccoglie di fretta le sue cose e se ne va trasferendosi in una casa in affitto, in un quartiere malfamato di Baltimora. Quella stessa sera sarà proprio lei a trovare il corpo senza vita di Tessie, rivolto all’ingiù, sulle sponde del lago cittadino Montebello.

Contemporaneamente Cleo Sherwood (Moses Ingram), madre di due bambini, afroamericana e all’incirca coetanea di Maddy, lotta per migliorare la sua posizione nella società, sognando di entrare in politica, mentre si divide tra lavori di fortuna facendo la cameriera e il manichino vivente. La sua bellezza la rende visibile abbastanza per i bianchi da farne una bambola umana da esporre in vetrina, ma non a sufficienza da concederle una paga adeguata e il pieno rispetto dei suoi diritti. Del resto quale individuo è più discriminato di una donna nera in uno Stato fatto per i bianchi? Quando Cleo sparirà e verrà poi ritrovata morta nello stesso lago di Tessie, Maddy capirà ancor di più che la sua unica strada è lavorare come reporter, cercando di risolvere entrambi i casi e tentando di concedere giustizia a due persone provenienti da due categorie insopportabilmente ancora troppo discriminate.

“La Donna del Lago”, critica

Tratta dall’omonimo romanzo del 2019 della scrittrice Laura Lippman, “La Donna del Lago” è la nuova miniserie mandata in onda dal 19 luglio in esclusiva sulla piattaforma di streaming Apple Tv. Firmata dalla regista Alma Har’el, di origini israeliane e conosciuta per lo più per aver diretto molti videoclip musicali negli anni duemila, questa è una serie che non parla esclusivamente di giornalismo d’inchiesta ma che scava negli anni della ribellione femminista e afroamericana.

Con la voce fuoricampo della coprotagonista defunta Cleo Sherwood, rappresentata da Moses Ingram, il ruolo di Maddy Schwartz, interpretata magistralmente da Natalie Portman, viene accompagnato nella sua ritrovata ambizione lavorativa e nel desiderio di fare giustizia per le donne. Quest’ultimo personaggio non sempre fa la cosa corretta in termini di onestà: a volte egoista, presa eccessivamente dalla sua voglia di rivalsa, che non guarda in faccia nessuno, neppure le vittime, pur di scavare nel torbido e trovare risposte investigative. Ma ciò nonostante non puoi non amare la sua testardaggine cocciuta e il suo animo pieno di emozioni umane. Forse complice anche l’affascinante viso di Natalie Portman al quale, per quanto familiare, non ci si abitua mai fino in fondo.

Fotografia impeccabile di Lachlan Milne che incarna perfettamente gli anni ’60 e le sue atmosfere dai rinnovati colori sgargianti, dalle fantasie geometriche e i contrasti Pop. La colonna sonora rispolvera brani di Nina Simone, Peggy Lee, Cher e Barbra Streisand dando voce, anche in musica, all’universo femminile. Ho amato intimamente questa serie (vista in anteprima), alla quale assegno quattro stelle e mezzo su cinque, e la consiglio caldamente a chi ha voglia di commuoversi senza freni, arrabbiarsi senza riserva e ritrovare un po’ di sana rivincita femminista.