Fin dalla nascita, le persone intersex subiscono pregiudizi culturali. Devono affrontare discriminazione e ignoranza. Ancora oggi, molti intersex sono sottoposti a interventi chirurgici invasivi e spesso inutili, solitamente entro i primi due anni di vita. Sono una realtà diffusa ma invisibile.
Quante persone intersex ci sono in Italia?
In Italia, non si conosce neppure il numero esatto. Alcuni studi medici stimano che il fenomeno riguardi lo 0,5% dei neonati, ma si tratta di stime conservative. L’intersessualità non è una patologia, ma una condizione che riguarda individui con caratteristiche sessuali – cromosomi, genitali o struttura ormonale – che non rientrano nelle categorie convenzionali di maschio o femmina, o che appartengono a entrambe. Talvolta queste caratteristiche sono visibili alla nascita, complicando l’attribuzione del sesso del neonato. In questi casi, obsolete pratiche mediche possono spingere i genitori a optare per interventi chirurgici precoci e rischiosi. Altre volte, l’intersessualità diventa evidente durante l’infanzia o l’adolescenza. Dopo decenni di silenzio, finalmente se ne inizia a parlare.
Il tema dell’invisibilità è centrale. Oggi, le persone intersex sono una realtà sconosciuta e priva di diritti. Caratteristiche sessuali atipiche spesso portano all’emarginazione sociale.
Molte persone intersex condividono un destino comune. In molti paesi non esistono legalmente. Spesso vengono etichettate come malate e sottoposte a trattamenti chirurgici, ormonali e psicologici per “normalizzarle”.
Nel 2015, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha sottolineato l’urgenza di porre fine agli interventi chirurgici “normalizzanti” non necessari e di depatologizzare l’intersessualità. Nel 2017, il comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha denunciato le mutilazioni genitali relative agli intersex, anche in Italia.