Si è acceso il dibattito sul caso delle intercettazioni pubblicate su giornali e tv e relative al colloquio in carcere tra Nicola Turetta e il figlio Filippo. Su Fanpage hanno commentato: “Quelle parole sono umane. Siamo noi che non dovevamo ascoltarle”. Ma le curve si sono accese. Tra i tanti commenti ci sono quelli di Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei giornalisti, che con molte cautele invita i colleghi a “distinguere cosa è essenziale per la comprensione dei fatti da ciò che è pura e semplice incursione nel dramma di genitori di fronte a un figlio che ha commesso un crimine terribile”.

La sobrietà e la fermezza di Bartoli, Caiazza e Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto dice: “Per un genitore la vita di un figlio è sempre importante.  Anche se il figlio è un assassino. Ciò che un padre o una madre può dire ad un figlio, perché magari ha paura che si tolga la vita, dovrebbe rimanere tra di loro. Non finire sulle pagine dei giornali. È una conversazione privata. 

Possibile che giornalisti, direttori ed editori non riescano a capire quanto sarebbero imbarazzanti o farebbe effetto alcune conversazioni che loro hanno fatto nella vita, se rese pubbliche? Le loro come quelle di chiunque. Quante nostre frasi, se riportate su un giornale senza contesto, senza il tono della voce, senza spiegazione, sarebbero brutte?  Tante. Ed allora perché vi ostinate ad infrangere il confine della privacy ogni volta che potete?”.

Per il presidente dell’Unione camera penale Giandomenico Caiazza la conversazione del padre di Turetta con il figlio non ci riguarda e non ha senso che sia pubblica: “Siamo riusciti a costringere un povero padre disperato ad umiliarsi pubblicamente per chiederci scusa, dopo aver ascoltato contro ogni regola giuridica e umana una sua privatissima e drammatica conversazione. Forse lo avremmo applaudito se avesse aggredito il figlio dandogli dell’assassino, bastardo, feccia umana, nel primo incontro dopo quella tragedia indicibile. Sono io che chiedo scusa a lei, signor Turetta, questo è un paese impazzito ormai”. Ma proviamo a coltivare la speranza.

Stefano Bisi