Un DNA inedito potrebbe cambiare la storia del Mostro di Firenze. Il serial killer, che tra il 1968 e il 1985, operò sulle vicine colline del capoluogo toscano tra cui il “Bosco degli Scopeti” a San Casciano Val di Pesa, è stato autore di otto duplici omicidi.

Il luogo, è stato il teatro dell’ultimo e brutale canto del cigno del maniaco: l’esecuzione di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, i cui cadaveri furono trovati da un cercatore di funghi. Un modus operandi reiterato, a tratti robotico. La mattanza avveniva sempre con la stessa arma, una pistola semiautomatica Beretta Serie 70 in calibro .22 Long Rifle e un coltello.

In soli tre casi l’omicida non ha utilizzato il fendente: nel 1968, durante l’esecuzione di Barbara Locci e ad Antonio Lo Bianco, nell’82 nel duplice omicidio di Antonella Migliorini e Paolo Mainardi e infine nel 1983, nell’uccisione di Horst Wilhelm Meyer e Jens Uwe Rusch.

Attualmente, il delitto delle due vittime francesi, potrebbe essere il deus ex machina per la potenziale fine di una indagine, che tra aperture e chiusure a fasi alterne, perdura da quasi sessantanni, grazie ai recenti studi dell’ematologo italiano Lorenzo Iovino.

Il medico residente a Seattle, negli Stati Uniti, ha collaborato su richiesta del legale dei familiari della compianta coppia e nel quotidiano si occupa principalmente di trapianti di midollo. Come riferito a Repubblica, l’oggetto analizzato è un proiettile, denominato V3, rinvenuto conficcato nel cuscino della tenda dei due compianti.

Gli studi condotti sulla pallottola, scoperta nel giugno 2015 dalle forze dell’ordine, dal genetista Ugo Ricci e dalla sua equipe, individuò nel 2018 un profilo genetico ricorrente, poi ricondotto a quello del perito balistico che in passato aveva condotto gli esami, fuso ad un secondo parziale profilo sconosciuto.

Per Iovino, il secondo DNA sul reperto V3 non è compatibile con quello delle vittime e del secondo perito balistico che aveva maneggiato il reperto. Nemmeno con quello di altri indagati o delle tracce di Dna di altri sconosciuti isolate da Ricci sui pantaloni di Jean Michel e sulla tenda.

Tag24 ha intervistato sulla vicenda Nino Marazzita, soprannominato “L’avvocato dei diavoli”, autore dell’omonimo libro pubblicato nel 2006. È noto per aver difeso in tribunale diversi nomi della criminalità italiana quali Pietro Pacciani in grado d’appello e i serial killer Michele Profeta e Donato Bilancia.

Caso Mostro di Firenze. Intervista all’avvocato Nino Marazzita

Da anni, Nino Marazzita, prosegue individualmente e parallelamente le indagini sul caso del “Mostro di Firenze” e sulla morte del regista, autore e drammaturgo Pier Paolo Pasolini, in quel determinato contesto legale di parte civile al processo.

“Sul ritrovamento di questo nuovo DNA, devo ammettere che non sono per niente sorpreso” racconta l’avvocato a Tag24. “Io sono convinto dell’innocenza di Pietro Pacciani e il processo che è stavo svolto è ‘malato’ dalla parte dell’accusa e del Pubblico Ministero. Quando mi è stato riferito della scoperta del proiettile e delle scarpe, ho compreso che ormai è solo questione di tempo“.

L’avvocato Marazzita: “Il DNA non è riconducibile a Pacciani o ai compagni di merende: è un’ipotesi attendibile”

Il legale prosegue il suo racconto: “Che il DNA non sia riconducibile a Pacciani o ai Compagni di Merende è un’ipotesi attendibile. Per me, il killer, il vero “Mostro di Firenze” potrebbe essere una sola persona con fobie pseudo-religiose, non un gruppo. È una teoria che ho sempre avuto in comune con Francesco Bruno, autore del libro Al di là di ogni ragionevole dubbio di cui consiglio la lettura per scoprire un punto di vista differente sul suddetto caso e che per anni, ha lavorato sulla vicenda con grande meticolosità e cura per i dettagli”.

“La maggior parte dei delitti avvengono spesso in particolari circostanze religiose e su cui, a parer mio, gli inquirenti non hanno nemmeno indagato“.

Come si evolverà il caso del Mostro di Firenze?

“Adesso bisogna chiedere un “Processo di Rimessione” in quanto si tratta di fatti nuovi e di natura rilevante. Ci sono entrambe le condizioni per proseguire le indagini. La giurisprudenza tende a conservare la sentenza di condanne in genere, definitive, ma in questo caso ci sono gli elementi per procedere alla rimessione”.

Deve essere cambiata l’attività istruttoria ed eseguita in modo più serio, in quanto questa nuova scoperta mette in dubbio tutto il lavoro precedente“.