L’attacco ad alcuni dei siti dei miliziani Hezbollah in Libano da parte di Israele ha fatto infuriare il presidente turco Erdogan. Il capo di Stato ha rilasciato nella giornata di ieri 28 luglio 2024 dichiarazioni sulle azioni militari di Tel Aviv su una rete televisiva turca e durante il congresso del suo partito. Erdogan ha invitato a tenersi pronti ad un possibile attacco di Ankara contro Israele.
Non si è fatta attendere la risposta dallo Stato ebraico. Il ministro degli Esteri israeliano Katz ha mantenuto alti i toni della discussione e riferendosi a Erdogan lo ha paragonato a Saddam Hussein, il dittatore iracheno accusato di crimini contro l’umanità e giustiziato nel 2006. L’analista geopolitico Emanuele Volpini descrive i possibili scenari dopo le dichiarazioni del capo di Stato turco.
Dichiarazioni di Erdogan contro Israele, Volpini: “L’Idf è impegnato su tre fronti”
“Come siamo entrati in Karabakh, come siamo entrati in Libia, faremo lo stesso con loro” queste le parole del presidente turco Erdogan che minaccia di invadere Israele dopo gli attacchi missilistici in Libano ai danni di Hezbollah. Tel Aviv ha esploso razzi contro diversi edifici all’interno dei quali c’erano miliziani del Partito di Dio a seguito del presunto lancio di un missile sulle Alture del Golan che ha ucciso 12 persone. Un episodio che da solo potrebbe aprire un nuovo tragico capitolo nel conflitto in Medio Oriente inaspritosi lo scorso 7 ottobre. L’esercito israeliano potrebbe avanzare verso il Libano scatenando ulteriori polemiche e reazioni internazionali contrarie.
Emanuele Volpini, analista geopolitico, spiega a Tag24 cosa potrebbe succedere dopo le parole di Erdogan e quanto è concreto il rischio di un’invasione turca di Israele e come potrebbe avvenire.
Cosa potrebbe succedere?
Quali possono essere gli scenari dopo le dichiarazioni di Erdogan e soprattutto c’è il rischio di un’escalation di tensione che porti poi Israele sul territorio libanese?
“Dopo le dichiarazioni di Erdogan le tensioni sono aumentate ancora di più anche in relazione allo scambio di missili che si è verificato nella giornata di sabato fra Israele e Libano che sembra diventare sempre di più un papabile terreno di scontro tra Hezbollah e le forze dello Stato ebraico. Tuttavia bisogna anche valutare che Israele in questo momento dovrebbe gestire ipoteticamente tre fronti“.
“Rimane pur sempre la presenza militare nella stessa linea dove continua le operazioni contro Hamas e questo Netanyahu l’ha ribadito anche durante la visita al Congresso statunitense della settimana scorsa. L’esercito non si fermerà finché non sarà raggiunta una vittoria totale. C’è attenzione anche verso i confini sud della penisola arabica, quindi contro gli Houthi, che ricordiamo hanno colpito Tel Aviv negli scorsi giorni. Questo dimostra anche un indebolimento del sistema di difesa di Israele. C’è poi l’apertura di un terzo fronte a nord non più contro un attore come può esserlo Hamas, ma contro un qualcuno che ha una struttura molto più organizzata, fondi molto più ingenti cioè Hezbollah“.
“Si aprirebbe un fronte estremamente complesso da gestire per Israele all’interno di questo contesto. Sono già passati quasi dieci mesi dall’inizio della guerra e Tel Aviv ha impegnato un quantitativo di risorse non indifferenti, ricevendo comunque il sostegno continuo del suo senior partner, cioè gli Stati Uniti. Le dichiarazioni di Erdogan vanno ad aumentare le tensioni nell’area mediorientale”.
“Tuttavia bisogna poi valutare anche la reale possibilità di un’escalation di stampo militare, basandoci anche sulle reali possibilità che hanno gli attori coinvolti. Erdogan ha ribadito durante la convention del suo partito AKP come l’industria militare turca si sia evoluta negli ultimi anni, di come hanno fatto sentire la loro presenza in diversi contesti critici come il Nagorno-Karabakh, dove non sono intervenuti direttamente ma hanno fornito materiale bellico”.
Gli aiuti bellici turchi e la posizione di Erdogan
Ci sono altri esempi?
“Ricordiamo l’impegno turco nella zona lungo il confine sudest nel contesto della lotta ai partigiani kurdi e poi Erdogan ieri, al congresso del suo partito, ha ricordato la presenza turca in Libia“.
L’elettorato dell’Akp e la questione palestinese
Come mai è arrivata questa posizione così dura da parte dello stesso Erdogan?
“Bisogna analizzare quelli che sono i rapporti tra Israele e Ankara. La Turchia è stata forse il primo Paese a maggioranza musulmana a riconoscere lo Stato di Israele nel 1949, l’unico allora nel panorama mediorientale. Questi rapporti sono stati positivi durante il Novecento, ma con la presidenza Erdogan e l’ascesa del partito dell’AKP sono andati persi. La Turchia e Israele tuttavia hanno mantenuto ottime relazioni commerciali”.
“La posizione di Erdogan punta all’anima islamista dell’AKP e del suo elettorato, quindi anche in un’ottica di rafforzamento del potere interno e della figura della Turchia all’interno del mondo arabo“.
“Erdogan sta cercando di aumentare la propria influenza a livello politico all’interno del mondo medio orientale mostrandosi come possibile negoziatore. In questo contesto, il fatto che dal 7 ottobre Erdogan abbia deciso di troncare nettamente ogni tipo di relazione con Israele dopo gli ultimi anni di apertura denota una presa di posizione molto forte. In questo momento il capo di Stato turco vuole esprimere la sua solidarietà al popolo palestinese e allo stesso tempo trarne anche una vittoria politica all’interno del mondo arabo”.
Lo scoppio di una guerra su larga scala
E se scoppiasse un conflitto in Libano? A quel punto sarebbe lo step finale per poter parlare di una vera e propria guerra su larga scala in tutta la regione?
“Il Libano pur essendo ormai da anni storicamente considerato uno Stato fallito a causa di tutte le sue problematiche interne rimane un territorio chiave nello scacchiere medio orientale attraverso il quale passano i destini di molti attori: Turchia, Iran legato ad Hezbollah, lo stesso Israele, ma anche la Siria”.
“L’escalation che porterebbe all’esplosione di un conflitto vero e proprio che parte dal Libano potrebbe sicuramente allargarsi velocemente. Bisogna però considerare i Paesi vicini e quali possono sostenere un conflitto su larga scala”.
“Si è parlato nell’ultimo anno della ripresa del potere da parte di Assad e della normalizzazione del regime siriano da parte di alcuni Paesi del Medio Oriente. Tuttavia continua ad esserci una forte resistenza in Siria al governo: vi è ancora la presenza dello Stato islamico e resta pertanto un fronte molto instabile”.
“La Turchia sembra volere uno scontro militare con Israele ma deve valutare attentamente la propria disposizione non solo all’interno del mondo arabo ma anche all’interno dei rapporti che ha con l’Occidente. Nella Nato, la Turchia rappresenta un tassello fondamentale nel fianco sud-est e allo stesso tempo Israele, come sappiamo, è il partner numero uno degli Stati Uniti”.
L’impatto sull’Occidente
Che impatti avrebbe un conflitto sull’Occidente?
“Sicuramente l’opinione pubblica non accoglierebbe positivamente questa notizia. Dopo quasi dieci mesi di guerra a Gaza, l’opinione pubblica si è schierata nettamente contro le violenze, contro il governo Netanyahu, contro la posizione dei governi occidentali ritenuti ipocriti in questa situazione. L’esplosione di un conflitto porterebbe ad un’ulteriore destabilizzazione che avrebbe delle ripercussioni oggettivamente molto importanti per quanto riguarda determinati comparti strategici dell’economia europea“.
“Il settore energico sarà la prima vittima, poi potrebbero aumentate i flussi migratori che rappresenterebbero un problema importante per l’Ue in questa fase storica”.
Che guerra potrebbe condurre Erdogan? Sembra improbabile che mandi direttamente truppe al confine di Israele. Opterà per un conflitto ibrido?
“La guerra ibrida è diventata pop nel ventunesimo secolo anche perché a partire dagli anni Settanta – con la guerra in Vietnam – l’evoluzione degli armamenti e delle strategie hanno reso obsoleti i conflitti tradizionali fra due eserciti convenzionali”.
“Si ricorre sempre di più a questa tipologia di guerra ibrida, non convenzionale, che può essere svolta tramite differenti forme. Un esempio è l’utilizzo dei droni. Detto ciò non credo che ci sarà un confronto diretto tra Turchia e Israele”.
La mediazione delle petromonarchie
Dobbiamo aspettarci da parte delle petromonarchie un tentativo di mediazione nei prossimi giorni per queste dichiarazioni di Erdogan?
“In questo momento bisogna, a mio avviso, aspettare e vedere come reagiranno le petromonarchie. Il Qatar continua a essere una potenza mediatrice che vuole favorire una distensione per un tornaconto economico ma anche per migliorare la propria immagine. Le altre monarchie del Golfo hanno sicuramente interesse a vedere una descalation“.
“Possiamo pertanto aspettarci da questi Paesi una risposta molto più pacata e diplomatica che cerchi di stemperare le tensioni che Erdogan vuole alzare”.