Il 29 luglio del 1985 Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, di 25 e 36 anni, furono colti di sorpresa mentre dormivano in tenda agli Scopeti, nel comune di San Casciano in val di Pesa, a Firenze, e uccisi a colpi di pistola da quello che i giornali avevano già rinominato “il Mostro”, macchiatosi in tutto di otto duplici omicidi. Trentanove anni dopo un proiettile rimasto conficcato all’interno di uno dei cuscini che stavano usando potrebbe dirci finalmente chi è il loro assassino: ecco perché.

Chi è il “Mostro di Firenze”? Il ritrovamento di un Dna sconosciuto riapre il giallo: ecco perché

Il ritrovamento del proiettile risale al 2015. Nel 2018 un’équipe guidata dal genetista Ugo Ricci, analizzandolo, ne ha estratto due Dna. Come ha spiegato l’ematologo Lorenzo Iovino a La Repubblica,

il secondo non solo non è compatibile con quello delle vittime e del secondo perito balistico che aveva maneggiato il reperto, ma neanche con quello di alcuni indagati, o delle tracce di Dna di altri sconosciuti isolate da Ricci sui pantaloni di Jean Michel e sulla tenda.

Non è tutto. Lo stesso profilo ricorrerebbe, infatti, in modo parziale, anche sui proiettili di altri due degli otto duplici omicidi attribuiti al “Mostro”: quelli di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (9 settembre 1983) e di Pia Rontini e Claudio Stefanacci (29 luglio 1984).

Si tratta di un elemento importante: il profilo potrebbe appartenere, infatti, all’assassino ed essere rimasto impresso nei proiettili mentre lo stesso era impegnato a ricaricare l’arma. È il motivo per cui l’avvocato Vieri Adriani si starebbe ora apprestando a chiedere la riesumazione del corpo di Stefania Pettini, uccisa insieme al fidanzato Pasquale Gentilcore il 14 settembre del 1974.

Dalle ricostruzioni è emerso, infatti, che la donna potrebbe aver lottato con il suo assassino: se così fosse, è probabile che, sotto le sue unghie, ci siano delle tracce biologiche. Tracce che eventualmente andrebbero comparate con il nuovo profilo acquisito. “Nei casi non risolti – ha spiegato il legale a La Repubblica – bisogna in effetti tentare tutto il tentabile“.

Otto i duplici omicidi attribuiti al serial killer

La speranza è l’ultima a morire. Anche dopo 56 anni dal primo delitto, quello di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci, che erano in auto insieme al figlio di 6 anni di lei. Il modus operandi usato era sempre lo stesso: dopo aver sorpreso coppie di amanti in luoghi isolati, l’autore degli omicidi freddava le sue vittime – spesso in momenti di intimità – a colpi di pistola e poi si accaniva sui corpi delle donne, mutilandoli.

In carcere, al termine di lunghe indagini, sono finiti i famosi “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti: l’ipotesi è che abbiano aiutato Piero Pacciani – morto in attesa del secondo processo d’Appello che lo avrebbe visto imputato per sette degli otto duplici omicidi – ad uccidere le sedici vittime.

Sulla loro colpevolezza, però, ci sono ancora molti dubbi: per tanto tempo si è ipotizzato – senza mai arrivare a una risposta definitiva – che in realtà i due siano stati incastrati. Ipotesi, appunto. A molti anni di distanza dai fatti, il caso degli omicidi che sconvolsero le campagne nei dintorni di Firenze, seminando morte e paura tra le coppiette, resta, infatti, un giallo.

Lo ripercorrevamo dall’inizio agli ultimi sviluppi in un articolo per la rubrica “Storia del crimine”, online tutti i sabato alle ore 10.30. Qui è possibile recuperarlo.