Presunzione di ricavi dai prelievi: come difendersi dall’accertamento fiscale. Da questo principio, l’Amministrazione finanziaria trae origine, trasformando i prelievi in potenziali fonti di maggiori tasse. Ma come è possibile contestare un accertamento fiscale basato su questa presunzione? Analizziamo insieme le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate su quali prove possono risultare convincenti per contrastare un accertamento bancario.

Presunzione di ricavi dai prelievi: la necessità di prove concrete

Tutti abbiamo bisogno di una solida strategia per difenderci da un accertamento bancario. Il fisco non ammette giustificazioni vaghe o infruttuose; richiede prove concrete e convincenti.

Il contribuente ha l’onere di fornire una adeguata giustificazione per dimostrare la non imponibilità delle movimentazioni finanziarie. Anche le dichiarazioni di terzi possono essere valutate dal giudice di merito, che dovrà però verificare attentamente l’effettiva efficacia di tutte le prove presentate.

Come sottolineato da FiscoOggi.it, l’Amministrazione finanziaria, nel controllare i conti correnti, presuppone che ogni transazione sia legata a un reddito imponibile. Pertanto, è fondamentale capire come contrastare un accertamento fiscale basato su questa presunzione di ricavi dai prelievi.

Indagini finanziarie sui prelievi: come difendersi dagli accertamenti bancari

In tema di accertamenti bancari, trovano applicazione le disposizioni normative contenute nell’articolo 32 del DPR n. 600 del 1973 e nell’articolo 51 del DPR n. 633 del 1972. Si tratta di norme che introducono una presunzione legale a favore dell’erario, ovvero si presume che i prelievi bancari siano frutto di redditi imponibili.

A differenza delle presunzioni semplici, questa presunzione non richiede i requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall’articolo 2729 del codice civile.

Tuttavia, il contribuente ha la possibilità di superare un accertamento bancario fondato su questa presunzione, fornendo una prova analitica e dettagliata. È necessario giustificare ogni singolo movimento bancario, dimostrando che non si tratta di operazioni soggette a tassazione (ad esempio, rimborsi, trasferimenti interni, donazioni).

Secondo la sentenza della Cassazione n. 13112/2024, il giudice ha l’obbligo di valutare attentamente e in modo rigoroso le spiegazioni fornite dal contribuente, motivando in modo chiaro nella sentenza le ragioni per cui ha accolto o respinto ciascuna prova.

Presunzione di ricavi dai prelievi: la prova analitica

Se l’Agenzia delle Entrate, nel controllare i conti correnti bancari o postali, rileva una transazione finanziaria non giustificata dai redditi dichiarati, può presumere che tale movimento sia frutto di denaro non dichiarato e quindi soggetto a tassazione.

In sostanza, il fisco parte dal presupposto che ogni versamento o prelievo sia correlato a un’operazione imponibile.

Questa presunzione si basa sull’articolo 32 del DPR n. 600 del 1973, che attribuisce al fisco un notevole potere di accertamento. L’Amministrazione finanziaria non è tenuta a svolgere ulteriori indagini per dimostrare la natura imponibile della transazione contestata: la semplice presenza di un movimento finanziario non giustificato è considerata una prova sufficiente.

È importante sottolineare che l’onere della prova incombe sul contribuente. Per superare un accertamento fiscale basato su questa presunzione, è necessario fornire una prova analitica e dettagliata per ogni singola transazione.

Il contribuente deve dimostrare, con documenti e giustificativi, che i movimenti finanziari contestati non sono legati a redditi imponibili.

Non sono sufficienti spiegazioni generiche o colloqui informali con il fisco. Per contrastare un accertamento, è indispensabile presentare prove precise e circostanziate per ogni singolo movimento bancario o postale.

 La dichiarazione sostitutiva di atto notorio: un indizio ammissibile negli accertamenti bancari

Come riportato da Informazionefiscale.it, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in materia di accertamenti bancari, la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata da terzi costituisce un elemento indiziario ammissibile nel giudizio tributario (articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo n. 546 del 1992).

Sebbene non sia equiparabile alla prova testimoniale, essa può contribuire a fornire elementi utili per la ricostruzione dei fatti.