Versamenti su conti correnti e controlli fiscali: è probabile che un giorno ci si trovi a dover ammettere di aver versato dei ricavi non indicati nelle dichiarazioni dei redditi, oppure a dover dimostrare con prove valide la diversa origine del versamento contestato dall’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate, pochi giorni fa, è entrata nel dettaglio di cosa si intende per “onere della prova” e “prova valida” per contestare un accertamento bancario. Vediamo insieme cosa significa la richiesta di un documento che non si possiede più e quali sono le prove valide per i versamenti sui conti correnti bancari.
Versamenti su conti correnti e controlli fiscali
L’Agenzia delle Entrate può richiedere ai contribuenti la documentazione relativa ai versamenti o prelievi su conto corrente. Può capitare che il contribuente sia chiamato a giustificare con prove il passaggio di una transazione e che non sia in grado di esibire un documento valido, perché smarrito o per altri motivi. È importante capire che l’assenza di una documentazione valida porta il fisco ad ipotizzare la presenza di ricavi non dichiarati.
In particolare, secondo le disposizioni normative previste nell’articolo 32 del Testo unico sull’accertamento delle imposte sui redditi, Dpr n. 600/1973, se il contribuente non riesce a dimostrare con prove valide i movimenti di entrata e uscita del conto corrente, è legittimo l’accertamento bancario promosso dal fisco.
Accertamento bancario e giustificazioni dei movimenti finanziari: un caso giudiziario
Nel merito, la Corte di Cassazione ha ribadito questo principio nell’ordinanza n. 16850 del 19 giugno 2024.
Come riportato da fiscooggi.it, si tratta di una questione giudiziaria sorta dopo un accertamento fiscale promosso dalla Guardia di Finanza contro una Srl impegnata in attività di costruzione di edifici.
In fase di verifica, sono state riscontrate delle anomalie nei versamenti e prelievi sui conti correnti della società e del legale del legale rappresentante, del procuratore generale e di alcuni stretti congiunti.
In particolare, nel corso della verifica sono emerse diverse anomalie relative a:
- fatture prive di alcuni elementi essenziali;
- annotazione di fatture passive per costi non inerenti;
- omissioni di versamento di ritenute;
- fatture attive non registrate nei registri Iva;
- tardiva istituzione del registro Iva degli acquisti;
- mancata effettuazione di tutte le liquidazioni Iva prescritte.
Preso atto delle molteplici anomalie riscontrate, la Guardia di Finanza ha esercitato le indagini finanziarie, al fine di ricostruire l’effettivo volume d’affari realizzato dalla società.
Il problema è nato con la richiesta della documentazione bancaria, in cui le parti non sono risultate fornite di adeguati documenti a giustificazione dei movimenti bancari.
L’assenza di adeguata documentazione ha fatto scattare la notifica dell’accertamento fiscale, nel quale sono stati contestati i versamenti sui conti ed è stato ricostruito il reddito omesso, non dichiarato.
Sentenze di primo e secondo grado
Nel merito, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Salerno, con la pronuncia n. 1707 del 23 aprile 2018, ha confermato l’operato dell’Amministrazione finanziaria, ma applicando una riduzione nella misura del 20 per cento sul reddito accertato.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania ha respinto l’appello della società, spiegando che gli elementi ricavati dalle indagini bancarie condotte secondo le disposizioni normative dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973, sono ritenute valide per le rettifiche e gli accertamenti “se il contribuente non dimostra che tali elementi sono stati considerati nella determinazione del reddito soggetto a imposta o che non sono rilevanti a tale fine”.
Versamenti su conti correnti e controlli fiscali: presunzione legale e onere della prova
L’orientamento consolidato della giurisprudenza prevede la presunzione di redditi non dichiarati, una condizione rilevata dalla CTR, secondo cui movimenti di entrata e uscita che il contribuente non riesce a giustificare sono considerati presunti ricavi.
Pertanto, l’onere della prova spetta al contribuente, il quale, nel caso di specie, deve dimostrare con giustificati motivi che si tratta di somme incassate e contabilizzate a fronte di proventi registrati o costi pertinenti.
Cosa fare se il fisco richiede un documento che non hai più
L‘articolo 32 del Testo Unico Imposte sui Redditi disciplina i versamenti e i prelievi in banca e gli accrediti tramite bonifico, equiparandoli a potenziali redditi da assoggettare a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi.
Restano esclusi da tale presunzione i redditi già sottoposti a tassazione alla fonte (vincite al gioco ecc.) e quelli esenti da imposta (risarcimenti assicurativi ecc.). Tuttavia, in ogni caso, è fondamentale per il contribuente poter documentare l’origine del denaro.
L’assenza di una valida documentazione giustificativa può infatti indurre l’Agenzia delle Entrate a presumere che si tratti di proventi non dichiarati.
L’onere della prova grava sul contribuente, il quale è tenuto a dimostrare, con mezzi documentali idonei, la provenienza delle somme contestate. In caso contrario, scattano le sanzioni previste dalla normativa vigente.
Infine, se l’Agenzia delle Entrate ti richiede un documento per un versamento o un prelievo bancario che non possiedi più, esistono diverse modalità per recuperarlo:
- contattare l’Agenzia delle Entrate per discutere della situazione e delle possibili soluzioni;
- ricostruire la movimentazione del conto corrente per individuare l’origine del denaro;
- richiedere un duplicato del documento;
- presentare una dichiarazione sostitutiva.